Trama
Il regista Gianfranco Rosi, nel corso di tre anni trascorsi sui confini fra Siria, Iraq, Kurdistan e Libano, dà voce a un dramma umano che trascende le divisioni geografiche e il tempo dei calendari; illumina, attraverso incontri e immagini, la quotidianità che sta dietro la tragedia continua di guerre civili, dittature feroci, invasioni e ingerenze straniere, sino all'apocalisse omicida dell'ISIS. Storie diverse, alle quali la narrazione conferisce un’unità che va al di là dei confini. La guerra non appare direttamente: la sentiamo nei canti luttuosi delle madri, nei balbettii di bambini feriti per sempre, nella messinscena dell’insensatezza della politica recitata dai pazienti di un istituto psichiatrico. Un cantore di strada intona le lodi dell'Altissimo. Un bracconiere fra i canneti e i pozzi di petrolio. La grazia delle guerrigliere peshmerga. I terroristi dello Stato Islamico in carcere. L’angoscia di una madre yazida per la figlia prigioniera. Alì, adolescente, che fatica per portare il pane ai suoi fratelli... Tutt'intorno, e dentro le coscienze, segni di violenza e distruzione: ma in primo piano è l’umanità che si ridesta ogni giorno da un notturno che pare infinito.
Curiosità
LA PAROLA AL REGISTA GIANFRANCO ROSI
PREMESSA: All'origine di questo film c’è un’intuizione narrativa nata dalla convinzione che un’immersione totale in Medio Oriente mi avrebbe consentito di raccontare quei luoghi, oggetto di tante funeste incomprensioni e di altrettanti pregiudizi, in modo inedito. Durante i tre anni che ho trascorso in Libano, in Siria, in Iraq e nel Kurdistan iracheno la mia visione si è evoluta, si è “illuminata” per così dire. Prima di partire, avevo immaginato che avrei filmato soltanto scene notturne. Come se immergendo nell'oscurità i protagonisti, me stesso e, di conseguenza, gli spettatori del mio film, avessi potuto comunicare il senso della mia/nostra ignoranza. Dal punto di vista formale, l’idea era seducente, ma, dopo i sopralluoghi, ho sentito che era giusto abbandonarla. Durante il mio viaggio, ho incontrato le persone che vivono nelle zone di guerra: sciiti, alauiti, sunniti, yazidi, curdi. Vivono da una parte o dall'altra dei confini perché vi sono nati o perché costretti dall'esilio, e sono tutti vittime della guerra, frutto di conflitti ancestrali e dell’avidità dei potenti. Ho avuto modo di assaporare la vita e quella certa “normalità” che abita i fronti del conflitto. È questa vitalità che ho voluto cogliere, e per farlo mi è stata necessaria la luce del giorno. Notturno è un film politico, ma non vuole affrontare la “questione politica”. Non indaga le cause del conflitto né le molteplici problematiche religiose e territoriali in gioco. Ho voluto semplicemente rimanere il più vicino possibile alle donne, agli uomini, ai bambini la cui ostinata sopravvivenza suona come la metafora dell’assoluto che più mi appassiona: l'essere umano.
OLTRE I CONFINI: Ho voluto annullare la percezione della frontiera. Anche se è proprio lungo la frontiera che si ambientano le storie che ho narrato. Le frontiere vengono spesso percepite, dalle popolazioni locali, come altrettanti “tradimenti”, perché vengono costantemente ridefinite a seconda delle esigenze politiche. I limiti territoriali stimolano l’odio e la vendetta. Generano minoranze che diventano, presto, capri espiatori. Rappresentano il potere che non si cura degli individui. Non posso abolirle, ovviamente, ma le ho attraversate. Il mio è stato un viaggio incontro alla normalità che resiste, mentre il tuono della guerra vorrebbe imporre l’idea che qui, la normalità, non è nient’altro che la morte.
Non ho provato a spiegare la guerra intestina tra sunniti e sciiti, né il ruolo dell’Occidente, né i continui capovolgimenti delle alleanze. Ho preso le distanze dalle distinzioni che si operano tra curdi, iracheni, sunniti, sciiti o yazidi. Ciascuno sente d’essere vittima dell’altro. Ognuno ha le proprie ragioni.
Ho voluto portare a galla le storie, i personaggi, oltre il conflitto. Sono rimasto lontano dalla linea del fronte, e non ho seguito l’esodo dei profughi, ma sono andato loro incontro, là dove tentano di ricucire le loro esistenze. Nei luoghi in cui ho filmato giunge l’eco della guerra, se ne sente la presenza opprimente, quel peso tanto gravoso da impedire di proiettarsi nel futuro. Ho cercato di raccontare la quotidianità di chi vive lungo il confine che separa la vita dall'inferno.
LE PERSONE: La tragedia del Medio Oriente è la tragedia della sua gente. Ed è la ricerca della normalità e della quotidianità che mi ha portato sull'orlo del vulcano, nelle aree di confine di Libano, Iraq e Kurdistan e Siria, poiché è sulle sfortunate frontiere di questi paesi che si gioca la grande guerra interna all’Islam, tra sunniti e sciiti e rispettivi e mutevoli alleati.
Scavalcando linee nemiche, ho incontrato soldati e uomini di fede, pescatori, contadini e cacciatori, e tante altre persone, uomini e donne di ogni età e condizione. Ho incontrato tanti bambini e tanti adolescenti segnati per sempre. Alcuni di loro sono i protagonisti del mio film: cerco di raccontare le storie degli umili che vivono alle porte dell’inferno, non quelle degli uomini del potere.
Questo viaggio è stata un’esplorazione di una regione e delle sue genti intrappolate all'interno di vetusti e coloniali confini, che hanno diviso popoli ed etnie una volta liberi di spaziare all'interno del vasto impero ottomano; popoli ed etnie che oggi si uccidono convinti che solo attraverso la sopraffazione dell’altro sia possibile la propria sopravvivenza.
E in ogni posto di confine ho trovato la bandiera dei vincitori di oggi, piantata in un paesaggio di rovine.
LUCE E TENEBRE: Notturno è un film di luce e non un film di tenebre. Racconta la stupefacente forza vitale delle persone. La morte non ha nulla di coinvolgente, è solo un incubo. In questi luoghi tanta Storia ha mosso i primi passi, dal diluvio universale all'invenzione dei numeri, dove ora sventolano le bandiere per affermare un’appartenenza, una conquista.
L'uno di fianco all'altro, senza soluzione di continuità, luoghi sacri e zone industriali, campi incolti, villaggi di pastori, quartieri sventrati dai bombardamenti, paesaggi di rovine, deserti, grovigli di fili elettrici, paludi sulle quali scivola una barca di pescatori. Questi sono solo alcuni dei contrasti struggenti del Medio Oriente.
Notturno non cerca di analizzare queste contraddizioni in modo critico, ma di cantarle. Il film è un’ode all'umano immerso nelle oscurità della guerra. Come in un ‘Notturno’ di Chopin, anche qui l’oscurità è un pretesto, un’occasione per lasciar risuonare ciò che vive.
LA GIUSTA DISTANZA: Quando lavoro ad un film, mi muovo come un archeologo. Parto dall'analisi della prima palata di polvere e poi mi sforzo di comprendere la realtà che vi si cela, invisibile all'occhio nudo. Provo a sbarazzarmi dei miei preconcetti, accolgo la novità, mi lascio sorprendere dal soggetto, lo lascio venire a me, senza forzarlo. Si tratta di un lungo lavoro preliminare, sia per quanto riguarda la selezione dei luoghi nei quali girerò, sia per quel che concerne la scelta dei personaggi. Incontro centinaia di persone prima di trovare quelle adatte a costruire una relazione. Entro nel loro quotidiano, lascio che si abituino alla mia presenza. Finalmente, arriva il momento in cui mi dico: “questa è la persona con la quale voglio lavorare, quella alla quale consegnare il mio tempo. Ed è questa persona che mi consegna il suo tempo e il suo mondo interiore, ed è pronta ad offrirlo a tutti noi”. Scelgo delle persone generose, che non vivono nella paura, persone curiose. È una storia di fiducia quella che si costruisce tra di noi: il timore di un tradimento è impensabile. Devo, quindi, trovare la giusta distanza tra chi filma e chi è filmato; colui che filmo non deve sentirsi giudicato. Non mi approprio della persona che filmo, non la soggiogo al mio sguardo. La rispetto perché è un’entità autonoma e unica. Le lascio piena libertà di movimento e cerco di cogliere le sue dinamiche interiori. Non faccio domande per non modificare il comportamento del soggetto filmato, non faccio interviste.
Questo tempo di conoscenza reciproca rappresenta il novanta per cento del mio lavoro. Solo alla fine sento che è giunto il momento di tirare fuori la telecamera. È un passaggio delicato, che in qualche misura si porta sempre dietro una certa sofferenza perché rappresenta un mutamento. Una parte di ciò che prima avevo colto svanisce inesorabilmente perché il soggetto filmato si trasforma, diventa attore. Fortunatamente, ho imparato con il tempo ad accettare questa perdita e ora so che, in quel momento, la realtà filmata diventa più vera del reale. La persona diventa personaggio. Il racconto diventa cinema.
Trailer
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Commenti (2) vedi tutti
Fotografia molto curata e ambientazione interessante, niente da dire. Ma perché far parlare solo le immagini senza un minimo di dialogo o di storie da raccontare? Perchè non spiegare qualcosa anche con voce fuori campo? Perché lo spettatore deve soffrire? Confesso che ho visto solo qualche spezzone ma mi è bastato.
commento di Artemisia1593Documentario che appassiona per un pò ... nel mezzo c'e' anche qualcosa dell' "Isis" quindi già basta per averne le scatole piene.voto.5.
commento di chribio1