Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film
Lo “psicofilm” per eccellenza di Stanley Kubrick. Il titolo - Occhi chiusi spalancati - potrebbe sembrare un ossimoro ma non lo è! Durante il sogno gli occhi sono di fatto serrati, inabili quindi alla visione esterna, ma spalancati alla visione interna, quella inconscia.
Con il Maestro eravamo avvezzi a una tipologia di opere che ben ne sottolineavano la loro eterogeneità, e quest’ultima ne è orgogliosamente la ciliegina sulla torta. Tra l’altro, pare pensasse da tempo alla complessa trasposizione su pellicola della novella “Doppio Sogno” scritta intorno al 1920 dal tedesco Arthur Schnitzler, novella per la quale lo stesso Freud manifestò interesse al punto da inviare all’autore i suoi complimenti dopo la lettura. Riterrei non azzardato considerare questa novella, in ambito letterario, quello che Freud ha rappresentato in ambito scientifico per la psicoanalisi. Noi quindi ci ritroviamo un libro e un film di non semplice ”lettura” e, non avendo Schnitzler né Freud e nemmeno il Maestro ai quali chiedere di illuminarci, non ci rimane che tentare di trarre le soggettive interpretazioni attraverso ciò che hanno lasciato. Non soffermandosi sulla trama ormai a tutti nota, e retrocedendo di qualche decade, mi verrebbero in mente, oltre all’opera buffa mozartiana “Così fan tutte”, un paio di autori forse non marginalmente pertinenti all’argomento: Oscar Wilde con il noto aforisma “ Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero” e il suo quasi coetaneo Pirandello - il teoreta dell’ “apparire” - con quest’ altro aforisma da “Uno,Nessuno, Centomila”: “ Una realtà non ci fu data e non c’è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere: e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile”, per cui noi mortali, essendo in balia degli eventi, per autodifesa cerchiamo di affidarci a qualcosa di fermo e radicato ma, inesorabilmente, ci ritroviamo con estranee maschere nelle quali immedesimarci per dare un senso alla nostra esistenza. Non sono esperto in psicoanalisi, ho letto però quanto basta per avere seri dubbi su una serie di (in)certezze che tutti vorremmo poter esorcizzare attraverso quelle che la nostra organizzazione sociale chiama, da secoli a questa parte, “atti”.
Questi “atti” o “patti” che in ambito civile diventano “contratti” ecc, in ambito religioso diventano i riti che, con in primis il matrimonio, ci dovrebbero vincolare/garantire uno status quo super partes.
Già, ma c’è una frase nel film particolarmente ambigua e piuttosto inquietante pronunciata da Alice: “ SE VOI UOMINI SOLO SAPESTE…!” Questa frase da sola spiega l’eziologia delle emozioni vissute da Bill nelle due giornate più frustranti e, nel contempo, gratificanti della sua vita. La domanda su cosa dovrebbero sapere gli uomini penso sia destinata a non avere risposta, per lo meno per gli interessati, quindi non rimane altro che impegnarci per capire e continuare a sorprenderci, in percentuale variabile, prendendo atto della realtà. In più passaggi nei trattati sulla sessualità di Sigmund Freud si evincono problematiche legate a quest’ultima; tali problematiche, pur non contestualizzandosi/palesandosi allo stesso modo (la gran parte di esse rimane latente e repressa nell’individuo), ben evidenziano l’inadeguatezza degli “atti” summenzionati, purtroppo, nel gestire l’ ”Io” e il “Super io”, aspetti indiscussi della nostra psiche che, seppur cosciente e intelligente, accoglie inevitabilmente in sé le ancestrali reminescenze animali, nonché gli istinti di esseri – maschi e femmine - biologicamente e psichicamente diversi ma sessualmente complementari. Freud, a partire dal 1894, parlava di una base “organica” della libido con queste parole:” E’ impossibile tacere che questi processi sono in ultima analisi di natura chimica”. Nei suoi “Tre saggi sulla teoria della sessualità” possiamo estrapolare qualche cognizione dal suo importante studio sulla “Teoria della libido” nel quale il fondatore della psicoanalisi considera l’istinto sessuale alla stregua di tutti gli altri istinti; un processo psicofisico capace di provocare manifestazioni sia fisiche che psichiche. Citando le sue parole: ”Chiamiamo libido - o desiderio sessuale - la forza psichica che rappresenta l’istinto sessuale e la consideriamo analoga alla forza della fame o alla volontà di potenza e ad altre simili tendenze dell’io”. In breve Freud considera gli “appetiti” uguali fra loro con tutte le manifestazioni ad essi connesse, comprese le frustrazioni e le nevrosi, qualora (gli appetiti) siano repressi o insoddisfatti.
Nel corso del film, a casa di Victor Ziegler, Sandor Szavost ballando con Alice allude all’ “Arte di Amare” di Ovidio, ma il Maestro non inserisce queste parole a caso nella sceneggiatura, è sufficiente leggere qualcosa sul trattato dell’autore romano per constatare come duemila anni fa le tematiche in oggetto fossero scandalosamente attuali. Tutto concorre a demolire le “certezze” di Bill, a iniziare dallo sconcerto che letteralmente lo avvilisce quando Alice, a casa dopo il ballo, gli racconta le scosse psichiche da lei provate anni addietro indotte da un ufficiale di cui lui nemmeno si ricorda. Con la serie di eventi che seguono, le "scosse" sono tutte per lui e culmineranno, al suo rientro, con la maschera sul cuscino (chicca del Maestro per lasciarci un epilogo aperto come a volte amava fare) e l'agghiacciante - per lui - racconto da parte di Alice su ciò che stava sognando.
Bene, l’epilogo ci conferma la “ de rerum natura” con l’incertezza di Bill sul da farsi viene risolta dall’imperativa “proposta finale” di Alice. E qui giunti mi guarderò bene dall’esprimere giudizi in merito, in quanto, date le delicate tematiche in essere, è bene che ognuno tragga le personali deduzioni.
Concluderei con quelli che non sono aspetti secondari, ma che, al contrario, hanno rivestito un ruolo comprimario in questo capolavoro di Kubrik del quale è a tutti nota la maniacale pignoleria per la perfezione. Non di rado il numero delle riprese della stessa scena superava la dozzina, ma il risultato è allo stato dell’arte. Tutto è a un livello superlativo, dalla bravura degli interpreti assolutamente centrati nelle rispettive parti - con non pochi impegnativi monologhi -, alla fotografia, nonché alla colonna sonora.
L’ impressionante brano musicale di Jocelyn Pook, “Masked Ball”, un riarrangiamento che la stessa autrice aveva ricavato da un brano dell’album “Deluge” del ’97 ( tra l’altro, pare che il testo di tale canto bizantino, recitato da due voci - una voce profonda che si alterna a una voce acuta - di preti romeni, appartenga all’ultima parte della messa bizantina ortodossa e che, nonostante il capovolgimento dell’ordine delle parole recitate che rende incomprensibile il tutto, nel febbraio 2003, a quattro anni dall’uscita del film, la Chiesa Ortodossa Rumena abbia protestato per l’utilizzo di questi frammenti di testo sacro), non solo è straordinariamente idoneo al contesto, ma con la particolare e spettacolare scenografia – nella quale la valenza delle maschere veneziane è di primaria importanza - ci coinvolge per immergerci in una formidabile sequenza visiva/uditiva dove le immagini si trasfigurano in suoni, e i suoni in immagini. Assolutamente magistrale!
Quanto segue non ha a che vedere con il film ma con il ricordo del Maestro si. Intervistata dopo la prima presentazione dell’opera, Nicol Kidman, alla domanda su quali fossero gli aspetti e le emozioni che più avrebbe conservato del Maestro da poco scomparso, si emoziona visibilmente non riuscendo a trattenere le lacrime. Le parole sono venute dopo, ma sono state quelle lacrime mal celate che maggiormente hanno fatto sentire la loro voce, avvalorando ancor di più in noi la convinzione che con Stanley il cinema abbia perso - sotto ogni aspetto, noto e meno noto - una figura di riferimento ineguagliabile e insostituibile.
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