Regia di Robert Bresson vedi scheda film
Il secondo lungometraggio di Bresson è un melodramma incentrato su sensi di colpa e peccato, argomenti fra i più cari al regista francese. Se la vendetta di Helène (ma il discorso vale in generale) è ingiusta - o quantomeno immorale -, altrettanto ingiusto e immorale sarebbe negare un nuovo amore, sbocciato sincero e vigoroso sulle rovine delle precedenti esperienze dei due amanti; la vita prosegue nonostante le delusioni, le sofferenze, i problemi che la caratterizzano: è l'amore - un amore quasi fideistico - che ci guida e che ci permette di andare oltre i pregiudizi e i sensi di colpa. Il soggetto è un racconto di Diderot, ma la sceneggiatura del regista e di Jean Cocteau (per i dialoghi) ha molto, come si è visto, del personale; in particolare colpisce il pathos sublime che avvolge il finale, come già accadeva nell'esordio di Bresson, La conversa di Belfort, due anni prima. "Fa' uno sforzo, combatti. Sei mia moglie, ti amo", supplica Jean dinanzi alla semi-incosciente Agnes; "Resta con me". E quando la ragazza quasi sospira, con uno spiraglio di sorriso, "Resto", è realmente il momento più alto dell'intero film, capace di aprire il cuore allo spettatore più cinico: un lieto fine combattuto, per nulla certo, ovviamente speranzoso, ma conscio dei suoi limiti (anzi, forse proprio da essi l'amore fra i due trae nuova linfa). Fotografia in un asciutto bianco e nero di Philippe Agostini, con prevalenza - ancora come nel primo film di Bresson - di interni. 6/10.
Helène, scaricata dall'amato Jean, insinua fra le braccia dell'uomo la prostituta Agnes. Lui non sa del mestiere della ragazza, ma l'amore fra i due sboccia sincero, tanto che decidono di sposarsi. A quel punto Helène rivela il terribile dettaglio a Jean.
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