Regia di Paul Schrader vedi scheda film
Per quanto possiamo agire senza lasciare nulla al caso, muovendoci nell’ombra affidandoci a calcoli scientifici, non ci è concessa la garanzia di escludere eventuali incognite, novità capaci di prenderci alla sprovvista. Al cospetto di una subitanea mutazione delle prospettive, sopraggiunge il momento delle scelte radicali, che non ammettono titubanze o rinvii. Di decidere cosa fare, se mettere la testa sotto la sabbia o se intraprendere contromisure al fine di sistemare i conti, di chiuderli una volta per tutte cambiando paradigma, ovvero estirpando ogni considerazione di comodo.
In un cinema etico qual è quello espresso da Il collezionista di carte, non vi è dubbio alcuno su quale tipo di decisione verrà adottata.
Dopo una carriera militare culminata in una condanna e un conseguente lungo periodo di detenzione, che gli ha concesso di avere a disposizione il tempo per affinare una preparazione esemplare, William Tell (Oscar Isaac – A proposito di Davis) si è trasformato in un giocatore d’azzardo estremamente razionale, conscio di come muoversi per non attirare attenzioni controproducenti.
L’inerzia della sua esistenza subisce una significativa deviazione quando, in poco tempo, conosce Linda (Tiffany Haddish – Stai con me oggi?), di cui s’innamora, e soprattutto Cirk (Tye Sheridan – Ready player one), un giovane che vuole a ogni costo vendicarsi di John Gordo (Willem Dafoe – L’ultima tentazione di Cristo), un uomo che ha condizionato negativamente anche le fortune di William.
Nonostante i tentativi di William volti a evitare il peggio, il destino lo obbligherà a cambiare tutti quei programmi che aveva ben chiari in mente.
Con Il collezionista di carte, Paul Schrader combina le sue indiscutibili qualità di sceneggiatore (Taxi driver, Toro scatenato) e regista (Affliction, Tuta blu) – più uniche che rare fuoriuscendo dalle medesime mani -, realizzando un’opera d’alta scuola, distante anni luce dalle pellicole risultatiste che spopolano, andando per la maggiore in quanto spinte dalla prerogativa di non arrecare il benché minimo disturbo.
Prima di tutto, allestisce il campo di battaglia nel gioco d’azzardo, ma senza lasciare un solo barlume agli archetipi che lo hanno contraddistinto nel tempo, speronandolo occasionalmente con infiltrazioni legate alle torture derivanti da un sistema tanto perverso quanto deviato e alla prigionia a cui è stato sottoposto il protagonista.
Proprio il personaggio principale di William Tell guida – anche quando è guidato, quando non può decidere come farebbe la stragrande maggioranza degli essere umani – e smista ogni movimento dello storytelling, con i suoi traumi accantonati ma non dissolvibili, la meticolosità che lo contraddistingue, un’imperturbabilità danneggiata dalle scorie del passato, la felicità lì a un passo dal conseguimento effettivo ma che deve forzatamente relazionarsi con ostacoli non rimuovibili, il suo rapporto da centro di gravità con i due satelliti che lo condizionano, Cirk e Linda.
Dal canto suo, Paul Schrader disegna e scandisce, ritrae e ispeziona, un piano inclinato che inghiottisce, che fermenta estendendosi in un senso di marcia a senso unico, senza ricami genuflessi e accessoriato con frangenti ipnotici incastonati a bruciapelo, nei quali la musica e le luci viaggiano in simbiosi rilegando cornici ragguardevoli e trasognanti, definendo un personaggio maschile che rinnova la complessità sviluppata nel precedente First reformed.
Parimenti, Oscar Isaac sfrutta appieno la ghiotta occasione e offre un’interpretazione statuaria e indimenticabile, mentre Tye Sheridan prosegue il suo percorso di maturazione (già in The mountain e in Age out aveva fatto intendere di non cercare solo il facile successo) e Tiffany Haddish risulta sorprendente, rovesciando l’immagine artistica che l’ha portata alla notorietà (soprattutto sul suolo americano).
Per quanto esposto, Il collezionista di carte assume le caratteristiche di un ufo nel panorama cinematografico contemporaneo. Prende il toro per le corna con una mano estremamente ferma, convogliando anima e corpo. Non lucra sugli eventi, costruisce una spina dorsale scrupolosa e spigolosa, per poi aggiungere innesti febbricitanti e chirurgici, denotando una rilevante capacità di adattamento. Con una lucidità impareggiabile che incide uno spartito coerente, oscillante tra vendetta e redenzione, calvari e fioriture, escoriazioni e abilità, un combinato disposto che tiene incollati alla sedia e immersi nel racconto.
Perentorio e destabilizzante.
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