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Turkey Shoot

Regia di Brian Trenchard-Smith vedi scheda film

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John_Nada1975

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La recensione su Turkey Shoot

di John_Nada1975
7 stelle

Superclassico della Ozploitation di anticipazione della prima ondata di questa grande cinematografia e di questo filone distopico nel quale sono riconosciuti maestri. Non vi abbisogna di citare i titoli e Brian Trenchard-Smith è uno dei maestri riconosciuti del cinema action aussie assieme a George Miller,il giudizio di Movieman è ridicolo.

Posto una recensione che io scrissi ormai molti anni fa nel lontano 2011, per un blog inattivo da tanti anni, ancora. A parte la naturale maggiore dose di entusiasmo e creduloneria di vita, latente e immaginabile, opportunamente oggi "limata", è una recensione tra le poche in italiano esaustiva e per questo titolo, sempre opportuna e quasi d'obbligo. Onde mettere il gran film del cinema di genere aussie che è, al posto e nella prospettiva di conoscenza e considerazione, che merita e gli spetta. Buona lettura a chi ne avrà voglia e pazienza:

 

Charles Thatcher/Michael Craig :-“Uno di voi è stato abbastanza stupido da lasciare la rieducazione prima di voi e prima che essa sia completata. A mio avviso questo è tradimento e sarà trattato come tale. Ricorderete il nostro motto: “L’ Obbedienza è libertà, l’obbedienza è lavoro, il lavoro è la vita”. Bene. Ora capirete una volta per tutte che anche il contrario è vero: “la disobbedienza è tradimento, il tradimento è un crimine, tutto il resto sarà punito.”

Escape 2000”(1981), noto in moltissimi paesi anglofoni anche come “Turkey Shoot”, e in Gran Bretagna -impagabilmente- come “Blood Camp Thatcher”, è ambientato in un prossimo futuro nel quale tutti i deviati sociali vengono spediti in severissimi, brutali, campi di “rieducazione” del comportamento, e nei quali la brutalità e le torture sono la norma. Ma quando i protagonisti della storia Olivia Hussey/Chris Walters (sì, proprio lei la bella attrice canadese che tra l’altro fu la Maria del “Gesù di Nazareth”[‘77] di Franco Zeffirelli) e Lynda Stoner/Rita Daniels arrivano in una di queste prigioni gestite dal governo, scoprono che c’è da riformare più di quanto ci si potrebbe immaginare.
Ciascuna di loro due è scelta per una caccia all’uomo, in cui sono loro stesse la preda più ambita.
Questo futuristico splatter australiano, è chiaramente ispirato sì fortemente anche da “Mad Max”, ma è estremamente più sanguinoso e come detto anche horrorifico, tra machete che attraversano teste, mani e dita dei piedi mozzate, morti colpiti dalle frecce, dissezioni tramite macchinari pesanti, piercing non propriamente consenzienti, e il calvario in cui gli stessi prigionieri, che sono la preda, devono attraversare, gentilmente offerto dal sadico e bastardissimo comandante del campo, interpretato dal famoso attore britannico di teatro e cinema -anche “classico”- Michael Craig, in cambio è ovvio, di una possibilità di libertà. Solo se riusciranno a sopravvivere certo, alla spedizione di caccia.

Se non siete molto abituati a vedere film australiani soprattutto di “genere”, dopo aver visto questo divertentissimo film d’”exploitation” del filone di “Mad Max”, certamente ne vorreste aver visti e conoscerne di più. “Blood Camp Thatcher” è, visto che siamo in tema, se vogliamo anche una versione precedente ed affine di “The Running Man”(’87) di Paul Michael Glaser (ma poi entrambi i film non sono altro che un riadattamento fra i più riusciti dei tanti, del classico “La Pericolosa partita” (The Most Dangerous Game)(’32) di Ernest B.”King Kong” Schoedsack. Qui, come in ogni buon prodotto aussie che si rispetti c’è anche un tale assortimento di vari selvaggi personaggi che cacciano, o vengono cacciati. E stavolta, c’è ben di più e di più “sleazy”che, come nel classico del 1932, soprattutto l’agitare di un bastone, e basta.
Purtroppo, come anche verrà specificato maggiormente nei trivia, un finanziatore del film che si tirò fuori all’ultimo minuto fece sì che il film venisse alleggerito di 15 pagine dello script, e che per problemi di budget non potevano più quindi essere trasposte sullo schermo. Così non abbiamo potuto più sapere come mai il futuro in cui è ambientato il film sia divenuto così degenerato, e non c’è più nulla che spieghi veramente cosa diavolo stia succedendo. C’è un tentativo sì di “spiegazione” nei bellissimi titoli di testa con il tema di Brian May, sopra immagini di repertorio da documentari o servizi televisivi di disordini sociali o gravi, violente, sommosse popolari, e la successiva repressione delle forze poliziesche, che avrebbero evidentemente portato all’instaurazione di questo violento e brutale sistema d’autoritarismo repressivo, un po’ appunto come accade in “Escape from New York”. Comunque, come sappiamo il futuro in questo genere di film non è mai “abbastanza”, e spesse volte l’impostazione futuristica non è neanche di grande rilevanza alla narrazione complessiva, come è anche per “Blood Camp Thatcher” (d’altronde non è “1984” di Orwell dalla solida base letteraria, o il film che ne è stato tratto proprio in quel periodo da Michael Radford).

E nonostante tutto, però anche questo nostro film australiano deve molto lo stesso a George Orwell e alle sue visioni d’irraggiungibile sgradevole grandezza, del futuro. Ma con tutte le buone intenzioni alla fine si trasforma, diventa, quello che giustamente aspirava fin dall’inizio ad essere, un fantastico film d’”exploitation” e quindi ovviamente, ben presto divenuto un classico di culto.


Libertà per i prigionieri, ma se riusciranno a sopravvivere certo, alla spedizione di caccia. Dopo un bell’inizio ci troviamo in un’ambientazione carceraria che ai più onnivori cultori dei generi potrebbe ricordare molti film del filone semiporno sulle “W.i.p.”, in cui le detenute sono sempre nude e tutte invariabilmente oliate o insaponate, spessissimo intente a farsi la doccia.

Il ritmo all’inizio è volutamente lento ma ben dosato nel suo sapersi far aspettare, appena inizia il movimento e la lunga caccia i personaggi prendono tutti la loro giusta dimensione di competenza, e da allora Trenchard-Smith non ti lascia mai andare fino alla fine. Essendosi divisi nella fuga, ognuno dei fuggitivi viene inseguito da un diverso cacciatore, che lo dovrà uccidere individualmente. Il film quindi si divide per cinque strade e cinque inseguimenti diversi e separati, che dovranno portare a cinque esecuzioni separate. E così il film taglia da un inseguimento all’altro fino a quando una delle vittime viene uccisa.
“Blood Camp Thatcher” secondo l'altro titolo con cui è ironicamente noto, dal cognome del comandante del campo Michael Craig, è certamente un film estremamente cruento, tant’è che ha avuto alla sua uscita serie difficoltà, in vari paesi. Soprattutto in Gran Bretagna, dove il BBFC (British Board of Film Classification), la censura inglese attraverso l’”Ente di Classificazione Britannico dei Film”, massacrò di tagli il film. Il bello vi risiede lo stesso proprio nel suo essere assolutamente oltre ogni limite e voler essere completamente gratuito e programmaticamente “offensivo”. Dita dei piedi staccate a morsi, teste che esplodono come e più che in “Scanners”(’80) di David Cronenberg, occhi cavati con dei paletti, persone a cui vengono tagliate le mani, vari dismembramenti, di tutto, di più. Grande attenzione per gli effetti dei colpi d’impatto delle armi da fuoco sui corpi, da qui altrimenti anche il titolo “Turkey Shoot”, che mai fu più in sintonia con il tono generale dell’intero film, veramente sinistro come ci piace; pieno di situazioni follemente “esploitative” ma contenenti talmente tanta energia, entusiasmo, e un grande senso del cinema, che solo ce ne fossero di più oggi, film così.
Ci sono persino diversi personaggi memorabili a partire dal sinistro Comandante del Campo interpretato dal menzionato Michael Craig e presente su tutti i manifesti del film e sulle copertine dei dvd, o il capo delle guardie Ritter interpretato da Roger Ward, celeberrimo caratterista del cinema aussie presente proprio in “Mad Max”, pelato, massiccio e baffuto, senza palle (sì avete letto bene e non in senso figurato, la spiegazione è data nel film), sadico e brutale, fa suoi quasi tutti i momenti migliori del film, giocando abilmente tra i registri del minaccioso e dell’ironico, ed è si può dire la guardia carceraria che ogni film carcerario avrebbe voluto avere. Egli non è mai contrario a infliggere un po’ di sane frustrate agli sfortunati detenuti che hanno fallito nella fuga, magari prima di una robusta scarica di botte. C’è poi presente una stranissima sorta di Chuwbecca metà uomo e metà bestia, personaggio dalla faccia pelosa come quella di un licantropo e dalle lunghe zanne, che sembra provenire direttamente dai cartoni animati di Don Chuck il Castoro. Proprio lui è uno dei principali cacciatori e gode nel mutilare i poveri malcapitati nei modi più raccapriccianti. Ancora una volta, forse un poco di spiegazione potrebbe essere stata data sul come e perché esistano simili creature, ma forse è ancora meglio così, per potersi solo sedere e apprezzare maggiormente il film. Si tratta di criminali che sembrano aver trovato il loro massimo divertimento nel torturare e uccidere i prigionieri e dare veri e propri spettacoli di morte. Tra gli interpreti in particolare il sempre sottovalutato ma bravo Steve Railsback come protagonista mi è piaciuto per la sua gravità e cupezza, come uomo senza scampo e bloccato in una situazione senza apparenti vie d’uscita. Olivia Hussey rappresenta un po’ l’elemento “decorativo” ma obbligatorio per l’occhio , e anche la sua interpretazione è su un registro grave e drammatico. Quando hai dei bravi attori protagonisti come questi, non è meraviglioso vedere insieme a loro anche un “has-been” del più caratteristico e rappresentativo cinema di genere australiano come Roger Ward, che fa la loro guardia all’inferno, appena se ne abbia una possibilità?

Definitivamente, “Escape 2000 aka Turkey Shoot aka Blood Camp Thatcher aka El Imperio de La Muerte” -secondo il suggestivo titolo spagnolo e chi più ne ha più ne metta- è un’intrigante e affascinante commistione di “The Most Dangerous Game” con il sottogenere della fantascienza sui sistemi carcerari di un futuro distopico, come è il campo di prigionia futuristico in cui è ambientato, e nel quale i personaggi sono fortemente caratterizzati -soprattutto quelli cattivi-, in cui non mancano naturalmente aspetti cosìddetti “esploitativi” –naturalmente- ma anzi sono presenti in abbondanza, visti i molti nudi di donna “integrali frontali” compresi, l’incredibile violenza sadica unita a una di quelle trame geometriche tipiche del cinema d’azione escapista degli anni’70 e ’80 che tanto ci piacevano e già dopo due minuti di film seguivamo con immenso piacere rapiti, fin dai tredici anni.
Finale pessimista come si conviene ai film di fantascienza situazionista di quegli anni.
Non basta descriverlo, l’entusiasmo che suscita l’”Ozploitation” della “First Wave” nel cinema australiano con titoli come questo, che vanno quindi solamente visti.

Turkey Shoot aka Blood Camp Thatcher” si svolge in un campo d’internamento futuristico come detto, di un’Australia fascista del futuro –tema molto presente nel cinema e nella letteratura australiana, quello della minaccia di una fascistizzazione e militarizzazione possibile del sistema politico ed economico, vuoi per il “Golpe bianco” finanziato dalla CIA contro il governo laburista nel ’74, ma soprattutto anche per la vicinanza continentale con il Sudamerica, all’epoca negli anni’70 ostaggio in quasi tutti i suoi paesi di regimi dittatoriali e militari, autoritari e fascisti, l’Australia, anche per ovvia prossimità geografica accolse e diede asilo politico in quegli anni a moltissimi rifugiati cileni, argentini, brasiliani, boliviani, ecc.
Come nei paesi sudamericani delle dittature militari, anche qui i “devianti sociali” vengono internati in questo campo di sicurezza nel quale un sadico direttore organizza “cacce all’uomo” o come si dice gergalmente in inglese, appunto “turkey shoot”, nelle quali individui ovviamente ricchi pagano profumatamente denaro per poter cacciare “sportivamente” i prigionieri, mentre un gruppo di nuovi arrivati al campo troverà delle condizioni talmente brutali e dure a cui non intenderà assoggettarsi, e anche se a pure a loro verrà offerta una possibilità di libertà, certo se sopravviveranno, alla caccia. E prima di loro, nessuno vi è mai riuscito.

Michael Craig ha scritto nelle sue memorie che il metodo di recitazione di Steve Railsback, in questo film, lo infastidì notevolmente.

Lynda Stoner fu apparentemente molto esigente, sul set. A causa delle sue fedi animaliste (essendo un’animalista di lungo corso in numerose cause per la difesa degli animali) si rifiutò di aprire tagliandolo, un pesce morto di una scena, costringendo così il dipartimento degli effetti speciali a crearne uno finto il più velocemente possibile, per poter realizzare il momento suddetto. Inoltre, si rifiutò anche di girare una scena di nudo, ma dopo una lunga discussione con Brian Trenchard-Smith si raggiunse il compromesso di farla apparire solo parzialmente nuda (cioè girata sul dietro).

Olivia Hussey, che a quanto pare a quel tempo sui set era una ragazza timida, durante una scena rischiosa rischiò di tagliare le mani completamente a Roger Ward, che per un ordine sbagliato del regista rischiò quindi di vedersi amputate le mani, che riuscì però a ritrarre all’ultimo momento.

Il film perse circa 700'000$ sui 3'200'000 complessivi del suo budget, già durante le due settimane prima dell’inizio delle riprese, in quanto uno degli investitori principali garantiti nella produzione, si tirò indietro all’ultimo minuto.

A causa quindi dei sopravvenuti limiti di budget, vennero rimosse 15 pagine dello script iniziale, che comprendevano una scena d’inseguimento in elicottero di 4 pagine. La lavorazione è stata ridotta da 44 a 30 giorni lavorativi di riprese.

Nonostante l’insuccesso critico al momento dell’uscita, il film finanziariamente negli Stati Uniti e in Australia andò benissimo, battendo persino il record di quel periodo al box-office quando finalmente uscì anche in Gran Bretagna (tra l’altro uscendo nei giorni in cui il Regno Unito era flagellato da una tormenta), recuperando così gran parte di eventuali perdite di fatto.

Olivia Hussey a posteriori ha detto che durante le riprese di questo film era molto infelice, sottolineando addirittura sconvolta, e che a suo dire credeva anche pericolosa la fauna selvatica australiana, che secondo lei era ovunque per farle del male, rendendogli difficile la permanenza in quei luoghi per girare il film.

Il personaggio del Comandante del campo di prigionia interpretato da Michael Craig fu impagabilmente battezzato apposta come Charles Thatcher, per divertito “omaggio” all’allora primo ministro britannico Margaret Thatcher.

Questo film è considerato uno dei titoli più rappresentativi dell’”Ozploitation” (il cinema d’”exploitation” australiano.

 

John Nada

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