Regia di Rob Cohen vedi scheda film
Dragonheart è una pellicola di genere fantastico (e non fantasy, come scrive qualcuno), lontanamente legata al ciclo arturiano, che porta in scena la figura mitologica del drago (sputa fiamme) in un modo, per l'epoca, eccezionale sotto il profilo visivo. L'operazione sembra esser stata influenzata da Jurassic Park (Draco, il nome dell'ultimo drago superstite, ha una testa e un corpo che sembra un misto tra un T-Rex, un Triceratopo e un anchilosauro) e da La Storia Infinita (1984). Il drago è un vero e proprio protagonista aggiuntivo, tanto che nella versione originale è doppiato nientemeno che da Sean Connery. E' dunque umanizzato, così come lo era il più fantasy (per struttura) Fucur della pellicola di Petersen. Parla (con movimento delle labbra), ride, canta e fa battute proprio come se fosse un uomo, addirittura una creatura posta a tutela della razza umana e avente natura di maestro di vita. L'ilarità è molto marcata e si cala in un contesto da cappa e spada di matrice guerriera ambientata alle porte dell'anno mille. Le scenografie alternano villaggi contadini fatti di baracche di legno e di paglia, castelli medievali e tanta natura, tra boschi, cascate e pianure interminabili. Il taglio è edulcorato, tanto da non subire alcuna limitazione alla visione (classico bollino verde). Pur essendoci diverse scene di battaglia e di morte non si vede traccia di sangue. Rob Cohen, ironicamente proveniente dal film Dragon (che nulla aveva a che fare con i draghi), è molto attento a bilanciare l'ironia al dramma, riuscendo a calibrare i due ingredienti che culminano in finale estremamente poetico, a tratti ascetico/esistenziale con riferimenti religiosi sul senso della vita (sceneggiatura, dunque, più che buona).
Non piacciono le scelte nel cast artistico. Dennis Quaid brilla meno del solito; David Thewlis è un mediocre e antipatico antagonista. La prova dell'attore britannico, che dovrebbe esprimere personalità e autorevolezza, trasmette invece infantilità e bizzosità. Il re Einon è insopportabile, si macchia di crimini gratuiti e tutt'altro che intelligenti. Peggio ancora sono i suoi atteggiamenti, atti da bambino viziato e non certo da sovrano capace di mantenere il rispetto dei sudditi. Pete Postlethwaite, nei panni di Fratello Gilbert, è una macchietta, una sorta di Virgilio convertito alla religione. Forse, il suo, è il personaggio più riuscito e divertente (finisce per sedersi sul drago scambiandolo per una roccia, proprio come avviene ne La Storia Infinita). Piace poco anche Dina Meyer, una aitante ragazzina che vuol vendicare il padre ma che trasmette poco carisma.
Peccato, perché gli effetti speciali, non a caso finiti in nomination agli oscar (battuti dallo scatenato Indepencence Day), le location (film girato in Slovacchia) e la fotografia notturna (meno la diurna) sono di grosso calibro. Dragonheart resta comunque un film piacevole, dal ritmo serrato e soprattutto dalla spettacolosa presa visiva. Carino, pur se troppo poco cattivo nelle scene action. Per chi è in cerca della presenza della figura del Drago in un'ottica meno mitologica (come è qua in Dragonheart) e più votata a creare tensione si suggerisce il successivo Il Regno del Fuoco di Bowman.
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