Angela ha perso la madre fotografa, ed intraprende un viaggio solitario tra terre desolate (il film è ambientato tra gli affascinanti altipiani di Gran Canaria e le dune di Fuerteventura, ma potrebbe essere in qualunque altro posto sperduto e per questo pieno di fascino) per depositare le ceneri della parente defunta. In realtà quello spostamento diviene lo strumento per ripensare a se stessa, ritrovandosi nella solitudine del luogo, ove la donna ripercorre un ideale viaggio materno, armata della vecchia cinepresa della cara genitrice, con la quale costei era solita riprendere l'esistenza, ancora piena di incognite, di molte specie di insetti.
Un viaggio d'addio che diviene una vera e propria presa di coscienza, con la quale la donna riesce finalmente a liberarsi di quella crisalide, o di quella barriera di vetro che, fino a quel momento, la teneva imprigionata come un insetto all'interno di una bottiglia di vetro trasparente.
Opera prima tutta primi piani, movimenti lenti ma studiatissimi e suggestivi, camera fissa e sfondi assai suggestivi, che segna l'esordio nel lungometraggio del regista Miguel Meijas che si impegna, col suo stile visivamente affascinante, ed uan reticenza narrativa da mettere in difficoltà buona parte di un pubblico non molto avvezzo a certe sfumature di forma, a comunicare con la forza ed il carisma delle immagini, più che con la parola, dando vita ad una descrizione di un tormento interiore che non può né vuole essere spiegato con le parole, ma viene descritto nel disagio vissuto e sofferto dalla protagonista, interpretata con toccante intensità da Angela Boix.
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