Regia di Jung-chi Chang vedi scheda film
FEFF 22
Due fratelli adolescent quasi coetanei, abbandonati da un padre ed allevati da alcuni parenti all'interno di un magazzino, risultano entrambi appassionati ed abili giocatori di basket, al punto da balzare presto alla notorietà locale per l'abilità con cui entrambi sanno muoversi in campo.
Li nota un agente in particolare, che, tuttavia, accortosi del problema di sordità che affligge il più grande tra i due, finirà per offrire il suo appoggio solo all'altro, che suo malgrado si troverà costretto ad accettarlo, viste anche le drammatiche situazioni finanziarie in cui entrambi si trovano.
Il fratello sordo, licenziato dalla mansione di cameriere dopo aver inavvertitamente urtato un cliente, riuscirà comunque a farsi ammettere in un'altra importante squadra di basket.
L'attaccamento tra i due fratelli verrà messo duramente alla prova quando una partita di cruciale importanza per entrambe le squadre vedrà i due fratelli non solo schierati ognuno per il suo team, ma anche destinati a marcarsi vicendevolmente, alle prese con una sfida impossibile da reggere anche già a livello prettamente psicologico.
Cinema e sport, questa volta inquadrato con una disciplina invero altamente scenografica ed adrenalinica come risulta essere a tutti gli effetti la pallacanestro, forte dei movimenti agili, scattanti e sinuosi dei suoi giocatori professionisti, in grado quasi sempre di dare spettacolo.
Il film, diretto dal regista cinese Jung-chi Chang, si predispone ad una preparazione molto lunga inerente la questione introspettiva dei due fratelli protagonisti (interpretati da due attori tutto sommato piuttosto bravi a sbilanciarsi tra disagio interiore ed adrenalinica dinamica sportiva), dedicandosi alla sfida finale lungo un infinito match finale con risultato da contentino per spettatori benpensanti e desiderosi di rassicurazione.
Nulla di nuovo, qui in questo film di pura routine, cosparso fino a soccombere ed annegare tra retorica e buonismo quasi sempre insopportabili e di sola maniera, e sospinto a malapena da una direzione solo professionale, ma non proprio travolgente, basti solo confrontarlo (non posso farne a meno avendo visto il suo paragone proprio di recente) con un'opera minore e su commissione come fu quel Basta vincere del grande William Friedkin, quello si in grado di trasmettere una febbre contagiosa di adrenalina da acrobazia da campo mista a quel puro magnetismo d'attore emanato da quel mattatore e fuoriclasse di Nick Nolte.
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