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The Death of Cinema and My Father Too

Regia di Dani Rosenberg vedi scheda film

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La recensione su The Death of Cinema and My Father Too

di alan smithee
5 stelle

LUCCA FILM FESTIVAL & EUROPA CINEMA

Assaf è un giovane regista che sta vivendo anche l'emozione di star divenendo padre, Yoel. Nel contempo sta procedendo ad ultimare lo script del suo ultimo film, che immagina un imminente attacco iraniano a Tel Aviv, costringendo il protagonista ad un fuga rocambolesca, quanto a tratti semi-comica, verso Gerusalemme.

Tra verità e finzione, la vita dell'uomo finisce per rapportarsi con quella del padre, consumato dal suo male incurabile, e per questo desideroso di trovare, tramite il suo film, una via d'accesso per semplificare un rapporto rimasto, per mote ragioni sempre troppo superficiale.

 

 

Tra pseudo verità e finzione conclamata del film in corso di lavorazione, quello che procede senza potersi aggrappare a soluzioni narrative di fantasia, è proprio la condizione di salute del padre del regista, che tuttavia l'unione rappresentata dal lavoro semi-autobiografico in corso di ultimazione, finisce per riallacciarsi a quella del suo ragazzo, accomunati da una complicità che ne distende i toni e ne fa cadere ogni barriera creata da superficialità, distrazioni, sviamenti che la vita spesso ostinatamente ci mette dinanzi, facendoci perdere di vista le reali priorità verso cui concentrarsi.

 

 

Un film che non brilla per capacità di attrarre, ma anzi si presenta piuttosto ostico nel suo giostrarsi tra due dimensioni antitetiche, la verità di tutti e giorni e quella raccontata dalla macchina da presa, ma da cui emerge un sincero, per nulla edulcorato rapporto padre e figlio, meritevole di menzione, sincero e genuino anche nell'artificio della narrazione.

Il cinema muore sopraffatto dalla triste realtà, mentre la vita va avanti e poi si ferma senza che sia possibile arrestarne l'inesorabile processo.

 

 

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