Se qualcuno volesse creare un Bignami del cinema, almanaccando film per ogni epoca, certamente non potrebbe non indicare I due mondi di Charly come l'emblema del cinema americano degli anni '60. Con tutti i pregi e i difetti di quella lunga stagione cinematografica, il film di Ralph Nelson, tratto dal romanzo Flowers for Algernon di Daniel Keyes e sceneggiato da Stirling Silliphant, è ambientato a Boston, dove l'ebete Charly (Cliff Robertson, che grazie a questo film vinse l'Oscar), che non riesce nemmeno a vincere le gare di intelligenza contro un topo (l'Algernon del titolo originale), viene sottoposto ad un'operazione dai dottori Straus (Lilia Skala) e Nemur (Leon Janney). Gradualmente, recupera capacità cognitive, poi diventa un prodigio della scienza, una sorta di enciclopedia vivente dallo spiccato senso critico. Ma da solo è costretto a rendersi conto che l'operazione ha soltanto un successo momentaneo.
Girato con l'estetica propria di quegli anni (split-screen, divagazioni semi-psichedeliche, ralenty improvvisi) e sostenuto da un afflato morale che bilanciava certa ingenuità sul piano dell'immagine, Charlie è un esplicito atto d'accusa ad una società malata di tecnologia, massificata dalla televisione ed incapace di prendersi cura dei suoi rappresentanti più deboli senza istituzionalizzarli.
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