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La ragazza sul ponte

Regia di Patrice Leconte vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La ragazza sul ponte

di scandoniano
8 stelle

La vita, come l’amore, è un cerchio che si chiude. Il cerchio come perfezione.
La metafora è inscenata con l’usuale maestria dal cineasta francese Patrice Leconte.
La speculare contrapposizione delle scene che ci vengono proposte all’inizio ed alla fine del film, speculari e complementari proprio come lo sono, nella fase di fruizione della pellicola, l’elemento “inizio” e l’elemento “fine” (inizio e fine della vita, di un amore, di un rapporto), rappresentano i punti nodali attorno ai quali Leconte, con la complicità degli ottimi Daniele Auteuil e Vanessa Paradis (un uomo ed una donna, come accade spesso nelle storie di Leconte), riesce ad esprimere la metafora dell’amore, riprendendo il teorema dell’unione rappresentato dai 2 angeli con un’ala sola (che potranno volare solo se abbracciati) di lucianodecrescenziana memoria...
E poi il lancio di coltelli come atto d’amore. Un atto d’amore che diviene amplesso senza sentimento nella parte centrale, quando i due inscenano un lancio privatissimo, semplicemente per il gusto di farlo.
Fino alla fine i due si danno del lei e soprattutto non si sfiorano mai. Lui, forte e spietato, penetra virtualmente la propria partner non penetrandola coi coltelli. È un mascalzone che cambia donna ad ogni occasione: e la mano non gli trema.
Lei, meretrice senza portafoglio, non ama. Ha, paraddossalmente e specularmente rispetto a lui, il massimo del contatto fisico senza mai averne un briciolo di quello mentale.
Dunque, meno si toccano più si amano. Il coltello come il pene. È l’assurdo metaforico più ampio: il minimo del contatto per il non plus ultra del rapporto fisico!
Quando nel finale la mano di trema (la mano ferma era la metafora del suo essere schivo al rapporto con l’altro sesso) è il sintomo che qualcosa è cambiato; che l’impenitente puttaniere si è tramutato in un uomo che sa amare.
L’abbraccio finale (che Leconte ripropone, non a caso, più volte) è un atto peregrino, ma salvifico.
Come salvifico prova ad essere il contributo artistico di Leconte alla malmessa settima arte.
Menzioni speciali: Fotografia (bianco e nero etereo) e location (da Parigi a Isanbul, passando per la Costa Azzurra e Sanremo).

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