Regia di James Moll vedi scheda film
"Gli ultimi giorni" (The Last Days, 1998) è un film-documentario del regista James Moll 'presentato' da Steven Spielberg (produttore esecutivo) e da The Shoah Foundation.
Prima dei titoli uno dei deportati ci dice "Se si fossero fermati sei mesi prima...".
Il documento racconta la storia di cinque ebrei ungheresi: la deportazione nei campi di concentramento (durante il periodo delle leggi razziali e della 'soluzione finale') e la visita ai luoghi come sono oggi. L'Europa era 'invasa' dalla forza militare e ideologica del nazismo e dal potere di Hitler.
Il film si basa sul racconto-intervista di: Irene Zisblatt (di Polena), Renée Firestone (di Unguar), Alice Lok Cahana (di Sarvar), Bill Basch Idi Szaszovo) e Tom Lantos (di Budapest).
La prima parte offre delle immagini di oggi e dell'epoca dei paesi di nascita e del mondo semplice e quasi ovattato. Si fa notare da parte di un deportato (Lantos) che Budapest offriva uno spettacolo bellissimo: una grande città, a livello di quelle più famose, e dove la vita appariva già 'moderna' nelle vie e nella vita.
Poi d'improvviso le cose cambiarono brutalmente; si racconta poi della deportazione; nel marzo 1944 ci fu l'occupazione dellUngheria. I tedeschi avevano illuso le donne che potevano lavorare nei vigneti. Sembrava un sogno (amare le parole di una deportata). Dovevano andare sui treni: alla stazione c'erano 'soltanto dei carri-bestiame' (qualcuno con pochissimo ottimismo diceva "ci sono questi e non gli altri perchè siamo in tempo di guerra").
Il rumore di "catenaccio che ci chiudeva dentro", è rimasto vivo nel ricordare quei momenti tragici. Viaggiarono per 5 giorni (al buio, senza cibo e acqua). Aprirono le porte e all'improvviso una grande luce: fummo accecati. I deportati erano ad Auschwitz (e le tre donne deportate, Irene, Renée e Alice, si trovarono in un inferno inimmaginabile).
Il documento mostra filmati storici di Auschwitz e dell'occupazione ungherse e immagini odierne di tali luoghi.
L'archivio mostra filmati opprtuni per meglio capire il racconto delle persone che hanno visto e vissuto l'immane tragedia.
Nelle baracche facevano entrare anche mille persone: più volte il singhiozzo prende posto alle parole, mai sufficienti a descrivere l'indescriviblie (un racconto fermato e ad incastro con immagini di un ribrezzo unico).
Una deportata (naturalmente una bambina) vide ad un certo punto suo padre (si nascondeva per non farsi vedere ma non ci riuscì...ricorda): incrociò il suo sguardo e vide "una lacrima che scendeva sulle guance".."fu l'ultima volta che vidi mio padre".
"Il loro odio era cieco" racconta un deportato ('ammazzare ebrei a guerra finita').
Nel film-documento c'è anche il racconto del dr. Hans Munch (ex medico nazista ad Auschwitz): parla di molti esperimenti eseguito nel campo (specie le donne) e della 'bontà' che usò con "test innocui" e "fu assolto per questo". Il suo parlare appare 'discreto' ma anche 'non emozionato'. Ad un tratto si fa vedere l'incontro tra lui e Renée (oggi ad Auschwitz) per avere notizie della morte dei sui famigliari (padre e sorella). I documenti dell'epoca ci sono: ma a precise domande il dr. risponde "che era normale morire...." in un posto simile. La donna dice "ho cercato di essere civile ma lui era molto evasivo".
Furono 438.000 gli ungheresi deportati in 6 settimane.
Si racconta anche che 'alcuni andavano contro il filo spinato per suicidarsi'...e i nazisti prendevano 100 prigionieri per ogni suicida. Naturlamente si assiste impotenti al racconto ed ogni emozione taglia la gola (quando si fanno vedere le aree oggi e quello che è rimasto l'animo si sente soffocare...manca il respiro e non solo).
Bill Basch racconta dei dieci giorni di marcia verso il campo di Dachau.
"La crudeltà dell'uomo contro l'uomo è inverosimile" oggi dice a noi. Alla fine mentre con un amico-cronista visita il campo oggi...l'inquadratura si allontana e dal fondo le sue labbra si muovono ..per domandarsi : "Perchè sono sopravvisuto? Perchè Dio mi ha risparmiato?". La commozione ci prende con le domande senza risposte (una pietra sopra il cuore della freddezza umana).
Inoltre Tom Lantos racconta delle sue fughe da un campo di lavoro, a Budapest e nei dintorni finchè la fine della guerra salva la sua vita. Il suo dire è 'terrificante e lancinante': il suo arrivo a Seattle (per ricevere un premio) viene (volutamente) detto per manifestare il risvolto della medaglia (idealizzando troppo il vivere oggi).
C'è da dire che il film è integrato da alcune voci di ex componenti dell'esercito degli Stati Uniti (Warren Dunn, Paul parks e Katsugo Miho) che la notte del 28 aprile entrarono nel campo di Dachau (dove vi erano 32.000 prigionieri). "Erano deboli....non emaciati". Le immagini sono spaventose e lasciano oltremodo sgomenti: sono a colori (la dignità dell'uomo è divelta da uomini irriconoscibili e da morti inguardabili).
A questo il documento dà voce anche a Dario Gabbai (un ex componente del sonderkommando ad AuschwitzII -Birkenau-): "Siamo rimasti in quattro testimoni oculari" della 'soluzione finale'.
Viene letto un documento dove Hitler il 29/aprile/'45 ordinò di mantenere le leggi razziali.
"L'uomo perde la fede nella santità dell'uomo".
Ultime parole di un documento forte. Una deportata accende una luce di un lumino nel 'cimetero' di Birkenau.
Si deve dire che questo film è assolutamente da vedere e da ascoltare con attenzione: non c'è commento. Le "parole sono inadeguate" (come viene detto dai testimoni) e ogni aggiunta pare veramente fuori luogo.
Una sincero plauso a tutto il lavoro nel ricercare, filmare e far vedere allo spettatore (senza filtri) il racconto di persone che hanno visto e toccato col corpo tutto l'indicibile.
Una deportata dice ad un certo punto: "mi possono prendere il corpo ma non l'anima" e da quel momento (oggi a noi) sono riuscita a salvarmi (forse eccessive ma senza dubbio scolpite nel suo ricordo).
Il film ha ricevuto il premio Oscar come miglior documentario alla premiazione 1999.
La regia di James Moll è buona; i commento musicale è affidato ad Hans Zimmer (lavora stabilmente come compositore negli States). I dialoghi italiani sono a cura di Moni Ovadia.
Voto: 9.
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