Regia di Terence Fisher vedi scheda film
Uno dei capolavori di Fisher: il film si apre con la solita inquadratura della ghigliottina, che in questo film sarà il leit motiv che scandirà tutti gli eventi. Al di là delle facili ironie sull'idea che si possa "imprigionare" l'anima, di renderla visibile, il film è strutturato molto bene, sia a livello narrativo che tecnico.
Una delle sequenze che ricordo sempre con piacere è composta da una rapida carrelata che inquadra la folla: per quanto rapida sia riesco sempre a cogliere tutti gli sguardi pronti a linciare Hans, accusato ingiustamente di omicidio (e che sarà poi ghigliottinato).
Tutto il personaggio di Cristina è un condensato di emozioni contrastanti: se all'inizio possiamo provare pietà e affetto per lei, nella seconda parte riusciamo a giustificare i suoi omicidi, è un personaggio che ricorda molto Madeleine/Judith di "La donna che visse due volte".
Se da una parte il film richiama Hitchcock anche con l'uso delle luci e dei colori, c'è però una scena che invece è stata ripresa da Kubrick in "Arancia meccanica": quella del pestaggio del proprietario della locanda da parte dei tre giovani, figli dei benestanti del paese, che rappresentano quel dandy privo di moralità spesso utilizzato da Fisher.
A dire la verità, questa non è la prima volta che Kubrick richiama Fisher, infatti il film che viene proiettato al drive-in in "Lolita" è proprio "La maschera di Frankenstein", primo film della serie diretta da Fisher.
Curiosa coincidenza o citazione voluta?
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