Regia di Lindsay Anderson vedi scheda film
Un’impiegata esce dal lavoro stressata e decide di rilassarsi imbarcandosi su un bus bianco che la porterà, in compagnia di una manciata di bizzarri passeggeri, a zonzo per gli splendori e le miserie britanniche.
Nel 1963 Lindsay Anderson, dopo una serie di cortometraggi e qualche lavoro televisivo, esordisce nel lungometraggio cinematografico con Io sono un campione, enorme successo di pubblico e ben accettato dalla critica; il regista impiega quindi altri quattro anni prima di tornare in sala e lo fa con questo The white bus, un mediometraggio – 47 minuti di durata in tutto – sopra le righe sia per quanto riguarda la forma che per i contenuti, un’opera leggermente sperimentale e altrettanto critica nei confronti della società britannica contemporanea. Certo dev’essere stata una scelta ben ponderata, ma non si può dire allo stesso modo che gli sforzi di Anderson siano andati a buon fine: The white bus è un film invecchiato piuttosto male dato il suo forte legame con la contemporaneità e che, soprattutto, non osa più di tanto, rimanendo ancorato ai canoni classici della narrazione e della confezione formale. Per esempio non è chiarissimo l’utilizzo del colore solo in alcuni frammenti qua e là, in apparenza completamente casuali: un gioco, un tentativo di spiazzare oppure una scelta precisa dal significato implicito? Anche l’assortimento – in odore di surreale – di personaggi bislacchi sul bus colpisce, ma non lascia il segno, sembrando sostanzialmente fine a sé stesso. Del copione si occupa Shelagh Delaney, già autrice di A taste of honey e della sceneggiatura per l’omonima riduzione cinematografica (1961) a opera di Tony Richardson; fra gli interpreti Patricia Healey, Arthur Lowe e, in un ruolo minore, Anthony Hopkins al suo debutto sul grande schermo. Dettaglio forse non del tutto irrilevante: The white bus esce nel dicembre 1967, esattamente in concomitanza con il Magical Mystery Tour dei Beatles, film sgangherato e demolito dalla critica e dal pubblico all’unanimità, ma di certo più popolare – almeno nell’immediato – dell’opera seconda di Lindsay Anderson, con cui condivide non pochi elementi della storia e l’atmosfera sperimentale: è probabile che l’impatto di White bus sarebbe stato migliore se avesse ricevuto una differente collocazione cronologica. 4/10.
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