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La costanza della ragione

Regia di Pasquale Festa Campanile vedi scheda film

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La recensione su La costanza della ragione

di Baliverna
7 stelle

Perché P. F. Campanile volle girare molte commedie e solo qualche film drammatico?

Devo dire che mi è piaciuto, fatta eccezione per qualche smagliatura nella penultima parte, che non faccio fatica a perdonare. Solo, infatti, nella sequenza del festino in appartamento il film perde un pochino di tensione.

Ho visto alcune commedie di P. F. Campanile, e mi sono sembrate tutte volgari e grossolane; invece mi hanno convinto i due film drammatici che ho visto del regista, cioè questo e “La ragazza di Trieste”. Niente di eccezionale, ma un andamento solido e sobrio, senza vezzi e con poche regole giuste. Film corretti e dignitosi, insomma.

Questa pellicola, che si regge molto anche sulla voce narrante del protagonista, tenta di mettere a fuoco una complessa storia d'amore – riuscendoci in buona parte. Il problema tra i due amanti sembra essere la fatica di comunicare e di essere veramente vicini. Soprattutto quanto a lui, il cui deleterio rifiuto di ascoltare la confessione di lei, le impedisce di liberarsi di quell'enorme peso sulla coscienza. Va bene non fare processi sul passato, ma a volte è necessario sputare il rospo per sentirsi in pace con se stessi e con l'altro. Il non voler ascoltarla, in modo quasi testardo, costituisce certamente una delle cause che originano il male della ragazza.

Allo spasimante di sua mamma, invece, il protagonista è legato da un rapporto di amore-odio, e amicizia-gelosia, che sembrano formare un nodo inestricabile. Ma pure il rapporto con la madre è complicato, reso difficile anche qui da una mancanza di dialogo, di sincerità, di franchezza, che costringono entrambi a recitare una parte e a supporre quali possano essere i sentimenti dell'altro, senza che essi vengano mai veramente dischiusi. Il risultato è una vita segnata dalla sofferenza, dai segreti, e dalle occasioni mancate. Forse, in tutto questo quadro, l'imputato incolpevole è il padre del protagonista, mai tornato dalla guerra. L'incertezza sulla sua sorte ha segnato profondamente sia madre che figlio, impigliati in una ragnatela di attese, speranze, e sensi di colpa sbagliati.

È una pellicola attenta ai sentimenti e alle psicologie, che dipinge un quadro complesso di rapporti tra i personaggi, i quali, magari, nel romanzo di Pratolini sono definiti con ancora maggiore chiarezza. Ma anche del film non ci si può lamentare troppo.

Tutti gli attori sono dignitosi, ma Enrico Maria Salerno è proprio bravo, e capace di rendere le molte sfumature del suo personaggio, uomo combattuto da molti sentimenti contrastanti. Anch'egli, secondo me, è un attore che ha dato il meglio di sé nei ruoli drammatici. La de Neuve, dal canto suo, è soprattutto bella e giovane, ma forse non scende completamente nel personaggio.

Il discorso politico presente nella pellicola è in fondo accessorio, quindi inutile stare lì a discuterne.

Assistente di Campanile è il futuro regista Franco Giraldi, del quale si intravvede una certa impronta, anche nel genere cinematografico: fu con opere come questa che poté farsi le ossa.

 

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