Regia di Fernando Zuber vedi scheda film
Ciechi siamo tutti. Ognuno è chiuso nella propria visione del mondo. Ma la fantasia aiuta ad inventare una favola da raccontarsi a vicenda.
Non ci si vede. Dentro i rapporti umani è buio fitto. I ricordi non aiutano a fare chiarezza. Tra un padre e un figlio che non si incontrano da anni la riunione può essere un’occasione drammatica per misurare l’entità di una distanza che il tentativo di raccontarsi non fa che mettere in evidenza. L’uomo, i cui occhi sono sprofondati nella cecità, procede a tastoni attraverso una vita che una volta gli era familiare: i luoghi ed i personaggi della sua infanzia sono ancora lì, dentro e intorno alla casa della madre appena defunta, ma per riconoscerli li deve toccare, sentirne i suoni, immaginarli con la fantasia di un bambino invecchiato. Intanto il piccolo Juan assiste allo spettacolo, e non capisce. Quei frammenti di memoria non si compongono, per lui, in alcun quadro dotato di senso. Gli sembrano le schegge sparse di un attacco di follia, i riflessi di una strana paranoia, qualcosa di cui avere paura. Per un tredicenne il mondo è la fuori, immerso nel sole, pieno degli schiamazzi dei suoi coetanei che si tuffano in un lago, dove non c’è bisogno di spiegare nulla, perché tutto si condivide con la massima naturalezza, una risata, un delirio, un gioco qualunque. Per un adulto non vedente, invece, la storia è tutta dentro il suo corpo, che cerca un disperato contatto con una realtà che per quanto già sperimentata, già sofferta, continua a sfuggirgli. Abituato a leggerla attraverso i singoli rilievi impressi sulla sua superficie, non riesce a pensarla diversamente che come un insieme di segni slegati, e così la comunica al figlio, che ne rimane atterrito. Il sottofondo comune, al quale, forse, è possibile attingere un’allegria da poter vivere insieme, potrà essere un favola. Una narrazione che si cuce pezzo dopo pezzo, unendo i vari scampoli di sogno e incubo che le nostre inquietudini quotidianamente ci regalano, a qualsiasi età. Questo film punta tutto sul difficile cammino che insegue disperatamente un finale. Non una chiarificazione, ma un momento di convergenza, in cui la vicinanza si fa vera, anche se temporaneamente, nell’atmosfera futile di un divertimento, nella forma di uno scherzo. L’importante è aver raggiunto la radura in cui il dubbio ci concede una tregua, e si può, per un attimo, credere nella certezza, scacciando l’ambiguità come un equivoco, come un trascurabile incidente di percorso. A volte il cinema si trascina, ma con passo leggero. La noia, l’ermeticità, la lentezza, il procedere stentato sono vapori che, polverizzando il discorso, gli consentono di sollevarsi da terra, confondendosi con l’aria. Questo film ha la delicata inconsistenza di una nube, che offusca lo sguardo, mentre lo invita a riempire il grigiore di colori sfumati e originali.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta