Regia di Blake Edwards vedi scheda film
La cosa più bella del film è sicuramente la villa del regista, ma anche quella con forti sospetti di kitsch. E' la seconda o la terza volta che interrompo a metà un film di Edwards (dopo Hollywood Party, da dimenticare, o meglio da ricordare per evitare di rivederlo, e credo qualche pantera rosa): l'umorismo di Edwards non mi fa ridere, il suo patetismo è ancora più scontato; qui tutto il film fa acqua: i dialoghi, la recitazione, la presentazione della famiglia. Lemmon invecchia male ed esaspera i toni, ma il regista non lo aiuta. L'attesa dell'esito della biopsia da parte della moglie è di effetto scontato e condiviso ormai in quasi tutte le famiglie, per cui non dovrebbe consentire critiche (ma di fatto le impone), e viene esasperato con faciloneria (e perciò di fatto annullato) dall'iniziale prelievo, con dialogo fra medici sul momento della risposta, rimandata a lunedì, dopo il week-end (siamo di venerdì pomeriggio), per cui la poverina dovrà vivere in ansia tutta la domenica: felice America, in cui di solito il paziente non ha da stare in ansia per tutto un week-end in attesa dell'esito della biopsia, e in cui i medici già mentre operano si preoccupano delle attese dei pazienti e poi telefonano all'analista per farlo lavorare di festa per avere il risultato prima; ma intanto lo spettatore è giusto che condivida lo stress dell'attesa, che non dimentichi il tormento, e quindi ogni pochi minuti il regista ci ripropone immagini, né belle né significative, dei macchinari di laboratorio che procedono, tanto così, per non dimenticare. E se non piangi, di che pianger suoli?
La differenza di procedimento può anche essere minima con le ripetizioni e le retoriche di Altman o di Wilder, ma la differenza di risultati è abissale (kalepav tav kalav).
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