Regia di Maurizio Zaccaro vedi scheda film
Nel 1983 il celeberrimo presentatore televisivo Enzo Tortora viene arrestato per traffico di droga e connivenza con la camorra. Serviranno tre anni di interrogatori, detenzione e processi per stabilire che le prove a disposizione degli inquirenti si riducono semplicemente a delle mendaci dichiarazioni di pentiti.
La kafkiana vicenda giudiziaria vissuta da Enzo Tortora fra il 1983 e il 1986, per un interminabile periodo di tre anni e tre mesi, era senz’altro degna di diventare un film: sia per l’importanza del personaggio pubblico al centro della storia, che dimostra come questo tipo di accidenti possano capitare realmente a tutti, sia per ricordare un uomo – al di là della sua notorietà – ridotto in ginocchio pur senza colpa alcuna da una clamorosa serie di errori e malintesi. Il soggetto è della figlia del presentatore, Silvia Tortora, interpretata nella pellicola da Giovanna Mezzogiorno; la sceneggiatura è di Umberto Contarello e Maurizio Zaccaro. Quest’ultimo, regista da una decina di anni, è già chiaramente orientato verso un cinema di racconto civile; il suo operato qui non è particolarmente degno di nota, limitandosi anzi a confezionare senza eccessive sbavature un prodotto dagli standard qualitativi non molto distanti da quelli televisivi. Bene in ogni caso le scelte di casting, con attori in parti più o meno importanti del calibro di Michele Placido (Enzo Tortora), Mariangela Melato, Stefano Accorsi, Leo Gullotta, Luigi Diberti, Giuliano Gemma e la già citata Mezzogiorno. Due ore di durata sono probabilmente un po’ tante: la trama avrebbe comunque perfettamente senso e il messaggio arriverebbe alla stessa maniera se si sforbiciasse qua e là; certi momenti che fanno leva sul patetico (la figlia che legge la lettera del padre in voce off, per es.) sarebbero facilmente sacrificabili. Nel complesso un’opera dai contenuti sicuramente più importanti della forma. 4/10.
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