Regia di Maurizio Zaccaro vedi scheda film
Seguendo con precisione e diligenza l’incredibile vicenda giudiziaria del popolare giornalista e presentatore Enzo Tortora (“quello del pappagallo”, dice lo squallido pentito Pandico: magistrale Leo Gullotta), finito in carcere per collusione con la camorra e spaccio di cocaina, Maurizio Zaccaro, lo sceneggiatore Umberto Contarello e la figlia di Enzo, Silvia, disegnano prima di tutto un ritratto umano accorato e penetrante e rendono emblematica una vicenda di malagiustizia assurda e incomprensibile. Quello di Zaccaro è un film sincero, caldo, emozionale che, al netto dei suoi difetti di struttura (salti cronachistici un po’ disordinati, qualche semplicismo nella scrittura dei magistrati), restituisce al mezzo cinematografico una passione civile progressivamente consegnata all’agiografia e alla superficialità della fiction televisiva. Non è un film contro la magistratura, come vogliono credere coloro che assumono impropriamente Tortora in quanto bandiera della lotta conto la giustizia italiana: è piuttosto una rappresentazione critica dell’abuso di alcuni strumenti nelle mani di certuni uomini. La lezione di Ermanno Olmi, maestro di Zaccaro, è limpida anche in un film lontanissimo dal cinema olmiano: la centralità dell’uomo nonostante tutto. Eccellente Michele Placido e buone le prove dei comprimari, impegnati in ruoli spesso troppo funzionali.
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