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Il seme dell'uomo

Regia di Marco Ferreri vedi scheda film

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La recensione su Il seme dell'uomo

di ed wood
8 stelle

Tra i film-apologo di Ferreri, questo è forse il più lucido, caustico, disperato. Impossibile fondare un nuovo tipo di civiltà, partendo dai resti (naturali e artificiali, ad ogni modo entrambi ridotti a mero oggetto, a pura "essenza reificata") di quella vecchia. Uno dei primi pensieri di Cino, una volta scampato all'Apocalisse, è stato quello di servirsi della conoscenza prodotta nei secoli per fabbricare una nuova bomba atomica (la stessa che nel film, presumibilmente, ha causato la decimazione del genere umano). Ferreri suggerisce come cultura (il Museo, i libri, la sala-studio di Cino, l'abbondante ed elegante vestiario), tecnologia (il telescopio, la macchina fotografica, gli strumenti con cui Cino produce la droga-sonnifero) e istituzione (mass media, forze dell'ordine, il prevosto che obbliga la coppia ad avere figli) siano destinate a sopravvivere e a far ripartire l'umanità con il piede sbagliato. Del resto, Cino vuole ardentemente un figlio, in quanto fermamente convinto della possibilità di rifondare un'Umanità "vincente" ripartendo dalle basi di quella estinta. E se l'universo maschile pare non essersi reso conto del fallimento del modello di civiltà che è stato foraggiato per millenni e intende ricominciare da capo con gli stessi princìpi di prima (sposando, politicamente, una tesi conservatrice gattopardesca), è quello femminile a mostrare perplessità: Dora capisce che il genere umano è destinato all'autodistruzione e ribadisce dolosoramente di "non avere il diritto di mettere al mondo un figlio". E se la donna si oppone alla procreazione, l'Umanità non potrà che estinguersi definitivamente, senza possibilità di ricostituzione. Il film è condotto sui binari di un surrealismo onirico che non di rado ricorda Bunuel (l'angosciante "intervista" al Papa, trasportato in barella in una Roma in fiamme, oscilla fra l'incubo e lo sberleffo; lo sdoppiamento della figura femminile, servito da una A.Girardot come sempre versatile, rimanda alle freudiane meditazioni sul desiderio del Maestro spagnolo), abilissimo a riempire il vuoto con invenzioni sarcastiche: la Pepsi Cola incantatoria, la carcassa della balena, la forma di Parmigiano esposta nel Museo, i continui riferimenti alla società dei consumi con tanto di marche (frigorifero Ignis), jingle pubblicitari (pomidoro Cirio), gli autogrill e le canzonette della suggestiva prima parte.

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