Regia di Domenico Paolella vedi scheda film
Il neorealismo incontra la commedia in questa trasposizione cinematografica di un testo di Eduardo De Filippo (dal titolo De Pretore Vincenzo) con una sceneggiatura del produttore Peppino Amato. Sostanzialmente la storia non è nulla di granchè originale: un povero napoletano tutto cuore che dice di trovarsi costretto a rubacchiare per vivere, ma in realtà sta ingannando per primo sè stesso. Nella napoletanità delle situazioni narrate c'è però la più ampia e verace italianità: nulla di quanto raccontato in questo Un ladro in paradiso non potrebbe essere facilmente applicato altrove, nello Stivale; ma proprio l'ambientazione partenopea fa sì che un protagonista come Nino Taranto possa sbrigliare tutta la sua verve e risultare interprete ideale. Al suo fianco le spalle valide non mancano, da Carlo Pisacane alla bella Helene Remy (alle sue prime esperienze nel cinema italiano, sebbene francese di origine), da Francesco Golisano (fresco reduce del Miracolo a Milano fimato Zavattini/De Sica) al giovanissimo Carlo Delle Piane, in una particina. Il buonismo di fondo (100% democristiano, per venire incontro a possibili rischi di censura) è portato al parossismo nell'incontro finale fra il protagonista e San Giuseppe; la morale, a prescindere dal suo essere sperticatamente ultracattolica, è decisamente fiacca anche per i tempi che corrono nel 1951. Belle le musiche (niente di nuovo) di Nino Rota. 4/10.
Vincenzo De Pretore, ladruncolo, viene beccato per un furtarello al mercato. Con un complice, sconta una pena di alcuni mesi di carcere; quando escono, i due tentano di cambiare vita. Ma invano: il lavoro non c'è e le occasioni di tornare a delinquere sono fin troppe. Vincenzo prega San Giuseppe per ottenere un miracolo: scampa a un arresto e trova un lavoro serio.
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