Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film
«…Una è più autentica, quanto più somiglia all'idea che ha sognato di se stessa».
(Così una lanciatissima “Agrado” dopo averne dette di ogni sulle sue onerose esperienze dal chirurgo plastico).
Fa pensare, quasi senza farlo apposta, un attestato di autenticità (ed autostima) reso, fra il serio ed il faceto, da parte di chi dichiara orgogliosamente di essersi rifatta il 99% del corpo. Ma è un po’ tutto il film di Almodovar a sprizzare copiosamente uno spiazzante, eterogeneo melting pot di generi e vibrazioni (il quale trova il proprio momento di coesione nella messa in scena; sasso67).
Godere della visione di un film essendo all’oscuro della sua trama genera sempre un certo qual grado di straniamento. E, se il film in questione è stato scritto e diretto da Almodóvar, tale sensazione si fa ancora più acuta. Ma se poi il suddetto film è Tutto su mia madre, si finisce per rimanere senza parole.
Sbalzi d’umore e cortocircuiti emotivi assistono moti di ilarità ed incredulità sempre più dilaganti. La tristezza lascia il posto alla commiserazione. Ed il miracolo non cambia verso.
Ma su un caleidoscopio improbabile (che si fa verosimile come forma di esperimento sociale) predomina la naturalezza dello sguardo del regista. Ed (anche) un punto fermo del suo cinema: la donna, come asse basculante dell’intreccio. La donna che è madre. La donna orfana (di affetti e legami). La moglie. La donna amante. La sorella, l’amica e l’aiutante. La donna vittima e, al contempo, artefice delle proprie disgrazie.
La donna, quale unica protagonista (il figlio di Manuela è poco più di un MacGuffin), e le disgrazie, dunque, dalle quali Almodóvar attinge come da un bacino inesauribile, che aspetta solo di essere camuffato, con ingegno, dalla mano di un ardito, irriverente pittore della realtà (benché, mano, caricaturata oltre ogni limite).
Il risultato è, così, la rappresentazione di un dramma inverosimilmente saturo di emozioni e contenuti, ma anche striato dei colori della commedia (senza equivoci), tanto da rivelare risvolti grotteschi (che però nascondono verità amare e problematiche: ed wood). Una rappresentazione degli estremi (che si alternano incessantemente, senza lasciare il tempo al dolore di scavare solchi in profondità od alla gioia di levigarli) un po’ limitata, a dire il vero, allorquando affida l’istanza di drammatizzazione ad un eccesso di “franchezza” (o di volgarità, che dir si voglia), oltrechè dalla caratterizzazione estrema delle protagoniste del film (sì da, esse, rendere più simili a degli stereotipi che a degli emblemi; Death By Water).
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