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Tutto su mia madre

Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Tutto su mia madre

di omero sala
7 stelle

 

locandina

Tutto su mia madre (1999): locandina

 

 

Il titolo è ispirato al titolo originale di Eva contro Eva (All About Eve) di Joseph L. Mankiewicz del 1950 (un film che la protagonista Manuela col figlio Esteban sta vedendo alla TV nelle prime scene). Ma è anche il titolo del libro che il giovane Esteban vorrebbe scrivere raccontando la vita di sua madre della quale però non sa nulla: non sa da dove venga, non conosce la sua famiglia, l’infanzia e l’adolescenza, ne ignora il passato, gli amori; non sa nemmeno chi sia l’uomo che gli è stato padre e non indaga le ragioni per cui luna donna così dolce ed empatica si sia separata allontanandosi da tutto e da tutti, perfino dalla città di origine, Barcellona, per costruirsi un’altra vita a Madrid. Ed è forse per questa nebbiosa assenza di passato che il ragazzo vagheggia una ricostruzione biografica che gli offra il paesaggio dei ricordi di cui tutti abbiamo bisogno.

Esteban è curioso di tutto e chiede timidamente del padre, ma Manuela (una straordinaria Cecilia Roth) è amorevolmente ermetica: ha cambiato vita girando decisamente le pagine della sua esistenza; si direbbe anzi che abbia voluto chiudere definitivamente un quaderno pasticciato, imbrattato e lercio per incominciarne un altro nuovo da tenere in ordine con meticolosa cura. Ora vuole scrivere pagine nuove, essere persona diversa; ora è madre sensibile e affettuosa; e anche sul lavoro - fa l’infermiera in ospedale - è amata per la professionalità, la dedizione, l’empatia. 

Per il 17º compleanno del suo Esteban, lo accompagna a teatro dove danno Un tram chiamato Desiderio, di Tennessee Williams (un dramma del 1947); alla fine dello spettacolo Esteban, appassionato di teatro e fan di Huma Rojo, l’attrice protagonista, convince la madre ad attendere in strada l’uscita degli artisti per avere un autografo. Huma, dopo una lunga attesa, finalmente compare, Esteban corre da lei sotto un forte acquazzone, l’attrice si infila in macchina e parte, Esteban la insegue di corsa, viene investito da un’automobile che sopraggiunge a forte velocità e muore.

 

Manuela si ritrova sola: scappa da Madrid e ritorna a Barcellona, la città che aveva abbandonato quando, rimasta incinta di Esteban nel rapporto con una transessuale, era fuggita per dare una svolta radicale alla sua vita.

A Barcellona inizia un secondo film. 

Manuela vi ritrova le coordinate geografiche ed esistenziali, ripercorre il passato per rintracciare la parte persa di se stessa, rientra nel vecchio giro, ricontatta le amiche in cerca del padre di Esteban, che forse ancora si prostituisce col nome di Lola; incontra Rosa (Penelope Cruz), una suora laica (incinta) che si occupa di emarginati e conosce anche i genitori che Rosa ha lasciato per seguire la sua vocazione; riappare perfino Huma, l’attrice, che è in crisi perché ha perso Nina, la giovane sua segretaria e amante. La dolce e determinata Manuela, la fragile e coraggiosa Manuela si ritrova ad aprire le pagine lerce del quaderno abbandonato: incontra mille altri personaggi scombinati che riemergono dal suo passato infelici, persi in vicende tragiche e grottesche, tutti disadattati sull’orlo di crisi complicate, coinvolti in tragedie intricate, lacerati in cerca di equilibri impossibili. 

La trama si ingarbuglia, diventa frenetica e non si scioglie mai.

 

Questo è il pregio principale del film: riesce a rappresentare i grovigli complicati degli stati d’animo - soprattutto femminili - per mostrare la complessità della vita, il significato di tutte le scelte, anche quelle cancellate, la sensibilità delle anime, la insopprimibile tensione dei sentimenti, la vitalità capace di travolgere, di plasmare coscienze, di trasformare corpi e caratteri. 

La commedia degli accadimenti e la tragedia che li origina e li accompagna restituiscono un melodramma che però è intelligente, capace cioè - intus legere - di guardare dentro; e offre una visione del mondo tesa, esilarante e disperata nello stesso tempo.

Tutti i personaggi si affannano alla ricerca della loro identità, e non possono che rituffarsi nella biografia personale anche per cercare le ragioni di antiche svolte fatte di legami o di abbandoni. 

Ma questo rivolgersi indietro non è nostalgia, a ben guardare, e nemmeno autocommiserazione, e nemmeno contrappasso, e nemmeno malcelato bisogno di autoassoluzione: è caparbia voglia di capire le ragioni di decisioni forse sbagliate ma inevitabili, è necessità di chiarimento, è inconscio desiderio di indagare quali diverse scelte avrebbero generato diversi destini ("Sliding Doors”). Soprattutto è fredda consapevolezza che è impossibile fuggire dalla realtà allontanandosi, girando pagina, mutando vita, cambiando sesso, indossando maschere (teatro). 

Una cosa è strabiliante in questo film: nessuno dei personaggi chiede ragioni ad altri di colpe, nessuno rinfaccia responsabilità per infelicità sopraggiunte: ognuno si porta dietro la propria storia, ne è legato, ognuno si avvolge nella sua infelicità; e ognuno è consapevole di essere faber dei propri fallimenti o delle proprie insoddisfazioni, ognuno matura le sue scelte e si adatta a compiere o subire metamorfosi per rincorrere la sua naturale identità o per allontanarsene, per essere autentico, ognuno impara a convivere col dolore.

 

Non si può non rimarcare in questo film un altro pregio: la prospettiva femminile (che in realtà è di tutti i film di Almodovar che narra sempre di femminilità).

I personaggi significativi sono donne, circondate da donne o da uomini che vogliono essere dignitosamente donne. Pare proprio che la femminilità, la sensibilità femminile sia di per sé la chiave di decifrazione della realtà, che le donne - soprattutto quelle che vivono ai margini della società e della propria esistenza - rappresentino meglio il genere umano, che siano portatrici esplicite delle caratteristiche umane con tutte le contraddizioni e le esasperazioni che affaticano le esistenze. Nelle loro scelte, nei loro atteggiamenti, nei loro errori si legge l’essenza della tenerezza e della risolutezza. Loro sono il paradigma chiaro della nascita e della rigenerazione, della sofferenza e del coraggio; loro sono gli archetipi della passione e della lucidità, dell’amore incondizionato. Loro sono autentiche anche se rifatte al 90%. Loro hanno consapevolezza.

 

La dichiarazione di Almodovar inserita nei titoli di coda non è messa a caso: 

A tutte le attrici che hanno fatto le attrici, a tutte le donne che recitano, 

agli uomini che recitano e si trasformano in donne, a tutte le persone che vogliono essere madri. 

A mia madre.

 

 

Cecilia Roth, Marisa Paredes

Tutto su mia madre (1999): Cecilia Roth, Marisa Paredes

 

 

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