Regia di Harry Bradbeer vedi scheda film
My life is my own. […] I’m not finished yet!
Blink.
La mano di Harry Bradbeer si riconosce dallo sguardo: non direttamente il suo, ma quello veicolato tramite la sua protagonista - una bravissima Millie Bobby Brown, gestita ottimamente (adenoidi comprese) -, che lo riversa dritto nell’obbiettivo della macchina da presa, andando a sfondare la quarta parete (l’occhio, la lente, il palco, lo schermo), mediante il classico gioco di ammiccamenti e complicità che s’instaura attraverso la messa in scena del camera-look (con interpellazione diretta), un proverbiale espediente a cui è facile decidere di ricorrere, ma molto più difficile risulta saperlo utilizzare a dovere (e l'unico momento in cui da questo punto di vista si tira un po' troppo la corda è durante la scena dell'annegamento), specialmente se questo dispositivo teatrale e cinematografico viene ricevuto in eredità da un penultimo testimone di tal fatta, vale a dire le due stagioni del “FleaBag” di Phoebe Waller-Bridge, di cui Harry Bradbeer ha diretto tutti gli episodi tranne il primo (per questioni di routine produttive: i pilot, spesso, vengono girati per essere presentati ai finanziatori, e possono passare mesi dal primo ciak al via libera per un’intera stagione). E quindi, sì, anche la mano, oltre lo sguardo, è presa in prestito dal brainstorming situato alla base del lavoro che sta dietro ad un’opera più o meno d’arte e più o meno collettiva che prende il nome di Cinema.
“La politica non v’interessa perché non v’interessa cambiare un mondo che vi si addice alla perfezione.”
Piccole suffragiste crescono.
Inghilterra, 1884. In piena Era (Spoiler!) Vittoriana il secondo governo Gladston, prima di lasciare il passo per vent’anni ai conservatori, portò all’approvazione della Terza Legge Elettorale (che passò facilmente alla Camera dei Comuni, ma incontrò più difficoltà a quella dei Lord, che allora aveva un peso ben maggiore rispetto ad oggi), che estese il diritto di voto anche ai maschi della popolazione rurale (minatori e contadini). Per il suffragio universale bisognerà attendere il 1928 (in Italia il 1946, a causa di un altro ventennio).
La sceneggiatura che Jack Thorne (non proprio l’ultimo arrivato: Skins, This Is England, National Treasure, Radioactive, His Dark Materials) trae dal primo volume (“the Case of the Missing Marquess”) della saga (sei romanzi dal 2006 al 2010) scritta da Nancy Springer e incentrata sulle avventure di Enola Holmes, l'onomasticamente bifronte (Alone) sorella minore di Mycroft (Sam Claflin) e Sherlock (Henry Cavill), leva ogni parvenza di stupidità al genere “Stupid Young Adult” (sì, si chiama così, il genere, per esteso).
Completano il cast i potenti valori aggiunti di Helena Bonham Carter ("Fight Club", "Big Fish"), la madre della protagonista, e Fiona Shaw ("Killing Eve", "Ammonite"), l'istitutrice (indimenticabile la sua entrata in scena in automobile), e poi: Frances de la Tour, Burn Gorman, Adeel Akhtar, Susie Wokoma, Louis Partridge...
Crew tecnicartistica eccellente: fotografia di Giles Nuttgens, montaggio di Adam Bosman e musiche (belle) di Daniel Pemberton (con “Celebrity Skin” delle Hole per il trailer).
Produce Legendary e distribuisce Netflix.
The CorkScrew!
Due ore che passano rutilando in allegria (e con una scena in carrozza che in quanto a tensione etico-morale rivaleggia con quella tra Redmond Barry e Lady Lyndon) e che possono essere prodromo ad un allargamento stabile in ambito cinematografico al franchise iniziato in campo letterario.
My life is my own. […] I’m not finished yet!
* * * ¼ (½)
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