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I 39 scalini

Regia di Alfred Hitchcock vedi scheda film

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La recensione su I 39 scalini

di Antisistema
8 stelle

Indubbio fratellino minore del più riuscito Intrigo Internazionale (1959), questo I 39 Scalini di Alfred Hitchcock (1935), pur essendo un'opera di un'autore ancora pienamente da svezzare, contiene al proprio interno tutti i topoi del cinema del maestro inglese, ma declinati in salsa british e con uno stile registico forse ancora da perfezionare qua e là, dove è costretto ad affidarsi molto agli scambi veloci di battute e ad un dinamismo dei personaggi interno all'inquadratura, invece che alla pura tecnica registica come farà in seguito, grazie sia ai progressi tecnici del cinema ma anche agli indubbi mezzi superiori offertagli dagli studi Hollywoodiani. L' Alfred Hitchcock del periodo inglese però presentava anche dei caratteri inediti come il grande patriottismo capace di muovere ed unire un popolo litigioo come quello inglese contro le minacce esterne (quasi sempre satira della Germania nazista) ed una percepibile fede come atto di fiducia e salvezza, che nelle opere americane verrà sempre più a mancare per via forse del culto protestante radicato nella società statunitense dell'epoca. 

La pellicola presenta una miriade di personaggi, situazioni umoristiche argute (i due venditori d biancheria intima in treno), figure iconiche (Mr. Memory), giovandosi di una studiata struttura narrativa circolare, dove il luogo di inizio coincide con quello finale e nel mezzo si svolgono le ricambolesche avventure di Richard Hannay (Robert Donat), canadese trasferitasi a Londra, accusato ingiustamente di un omicidio, per discolparsi dal quale, deve seguire le indicazioni segnate sulla mappa datale dall'agente donna in punto di morte, venendo a capo di colui che tira le redini della misteriosa organizzazione dei 39 scalini, che mira ad impadronirsi di un segreto militare riguardante il settore dell'aeronautica.

Nel difficile viaggio da Londra fino in Scozia e per la maggior parte del proprio girovagare nella brughiera scozzese, Hannay si ritrova praticamente solo, non creduto da nessuno se non da coloro che provano una vera fiducia ispirata in modo quasi fideistico dagli eventi fortuiti del caso, ritrovandosi perseguitato da tutti gli altri, compresa la solita polizia praticamente inutile ed inefficiente come da consuetudine nei film del regista.

 

Robert Donat

I 39 scalini (1935): Robert Donat

 

Alfred Hitchcock si può dire praticamente che per quasi tutta la vita non abbia fatto altro che lo stesso film, anche se abilmente declinato in varianti differenti, grazie ai sensibili miglioramenti nell'ambito della tecnica registica del proprio autore. Si notano i primi movimenti di macchina più complessi, come il carrello in avvicinamento con restringimento del campo verso i personaggi quando transitano in una nuova ambientazione, invece di affidarsi al montaggio, così come il giocare efficacemente sull'attesa spasmodica dello spettatore con inquadrature ripetute di possibili vie di fuga per Hannay quando si trova in situazioni difficili, in attesa dell'occasione giusta per farlo, ma puntualmente depistata dal regista che si diverte a sovvertire i canoni narrativi già consolidati all'epoca, praticando soluzioni originali che spiazzano le aspettative dello spettatore anche a distanza di oltre 80 anni dall'uscita della pellicola, che in tanti punti ha sprazzi sconcertanti di modernità, capaci di far risaltare l'opera tutt'oggi in mezzo alla miriade di thriller che ad essa si ispirano, senza possedere però né la padronanza, né la coscienza dei meccanismi tecnico-registi del regista inglese, praticando inutili virtuosismi e carrellate a rotta di collo, senza comprendere mai appieno del pensiero che c'era dietro le scelte di Alfred Hitchcock.

Limitata dai mezzi tecnici del 1935, che verranno meno nelle opere Hollywoodiane del cineasta consentendogli di sopperire con la sua messa in scena a taluni limiti dei copioni, I 39 scalini soffre inoltre di una sceneggiatura iper-compressa nella narrazione (una durata stringata di poco meno di 90 minuti) e di un umorismo troppo british, accentuato dal portamento molto inglese di Donat, che risulta troppo distaccato da una storia fin troppo pretenziosa e seria (gli intermezzi comici con Madeleine Carroll assumono il carattere di ampie digressioni nella storia, invece di amalgamarsi con essa), per la totale illogicita' dei rapporti causa effetto e della miriade si colpi ad effetto e coincidenze fortuite; probabilmente un'ironia più di stampo americana, come quella cafona, impudente e sfrontata di un Cary Grant in Intrigo Internazionale, avrebbe permesso di soprassedere ai buchi e alle forzature innumerevoli della sceneggiatura. Sospeso tra il thriller spionistico e scambi veloci di battute dal sapore screwball dato l'epoca, bisogna riconoscere un certo brio nel ritmo narrativo ed un finale intetpretabile in tanti modi con le due mani intrecciate tra loro, di cui una ammanettata (che siano gli ultimi scampoli di libertà per il nostro Hannay?), ma non siamo innanzi al capolavoro che vorrebbero i fanboy del regista; riprovaci ancora Hitchcock.

 

Madeleine Carroll, Robert Donat

I 39 scalini (1935): Madeleine Carroll, Robert Donat

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