Regia di Alfred Hitchcock vedi scheda film
“Un critico che mi parla di verosimiglianza è una persona senza immaginazione”
Alfred Hitchcock (da Il cinema secondo Hitchcock).
A parte la frecciata diretta ai critici questa affermazione mette chiaramente in evidenza uno degli aspetti fondamentali del cinema del Maestro inglese, la sua visione artistica non solo non prevedeva il ricorso ad una rappresentazione realistica ma anzi la metteva da parte quasi infastidito, del resto dice ancora Hitchcock per la realtà c’è la vita di tutti i giorni, oppure ci sono i documentari.
L’arte cinematografica è pura immaginazione, è cercare la magia in un opera di finzione che sia capace di catturare l’interesse dello spettatore proponendo una storia avvincente e ricca di colpi di scena, tensione, suspense, paura, azione, sono questi i tasselli da valorizzare non certo l’attinenza al reale.
Tutto il cinema di Hitchcock si basa su questo presupposto, che io ricordi solo nel film Il ladro il regista si abbandona ad una messa in scena più rigida, quasi neorealistica, ma è appunto la classica eccezione che conferma la regola.
Tra i tanti film che rifuggono la verosimiglianza, proponendo una trama e uno sviluppo della stessa decisamente poco credibile, ma non per questo meno coinvolgente, c’è sicuramente I 39 scalini (The 39 Steps), opera che rientra nel periodo inglese e di certo uno dei film più dinamici mai diretti dal regista, una spy-story classica che fin dall’inizio si fa forte di un ritmo sostenuto e di personaggi frizzanti e divertenti.
E’ la consueta storia dell’uomo ingiustamente accusato di omicidio e coinvolto in una cospirazione internazionale, Richard Hannay (un simpatico e impertinente Robert Donat, che a me ha ricordato un giovane Clark Gable) canadese in visita a Londra viene raggiunto da una misteriosa donna che lo informa di essere un agente segreto e lo mette in guardia su un complotto messo in atto da una organizzazione segreta denominata I 39 scalini.
Hannay la ospita in casa ma ovviamente non le crede, almeno fino a quando non se la ritrova sul letto con un coltello piantato nella schiena e una mappa della Scozia in mano, a questo punto l’uomo è costretto alla fuga, creduto un assassino inizierà il suo lungo viaggio che sarà costellato da numerosi incontri e da pericoli costanti, braccato dalla polizia e dai membri dell’organizzazione criminale se la dovrà vedere anche con la combattiva Pamela (Madeleine Carroll), una donna incontrata per caso che prima lo denuncia e poi lo segue nella sua spericolata avventura.
Il film è tratto da un romanzo dello scozzese John Buchan (autore molto apprezzato da Hitchcock) pubblicato inizialmente a puntate nel 1915, la storia come era prassi al tempo prevedeva uno sviluppo molto sostenuto e una chiusura a sorpresa che doveva lasciare il lettore con la curiosità di leggere la parte successiva, Hitchcock adotta lo stesso schema è divide il suo film in numerosi “atti”, tutti contraddistinti da una vena action molto sostenuta e da un ritmo che non scade mai.
Si può considerare un ennesima scommessa vinta perché I 39 scalini è un film che non mostra mai un cedimento, ma che anzi si giova di un crescendo continuo fino a giungere al culmine della vicenda, che si chiude (come si era aperta) in un teatro mettendo al centro della scena uno dei personaggi più riusciti del film, quel Mr. Memory (Wylie Watson) che con la sua mente speciale risulterà una pedina fondamentale ai fini dell’intreccio spionistico.
Altro aspetto fondamentale del romanzo di Bucham e la leggerezza nell’affrontare tematiche drammatiche, questo era l’elemento che più di tutti affascinava Hitchcock che infatti ci restituisce lo stesso spirito da spy-commedy nel suo film, lo fa utilizzando tutta una serie di personaggi divertenti (i venditori di intimo femminile, il bifolco puritano e la giovane moglie, i due anziani della taverna) ma anche mantenendo fin dall’inizio un registro narrativo frizzante che diverte con equivoci e situazioni paradossali.
In questo viene aiutato dai due attori protagonisti, Robert Donat non avrà la classe e l’ironia di un Cary Grant ma tiene alla grande per tutto il film, i suoi duetti con la Carroll che prima lo pensa un assassino e poi si ravvede sono un vero spasso, ammanettati insieme per una parte del film dovranno fare di necessità virtù e Hitchcock è bravissimo nel giocare con i due attori mettendoli nelle situazioni più disparate (la scena dove mangiano i panini mentre lei si toglie le calze bagnate è un perfetto siparietto di ironia e malizia).
Del periodo inglese mi mancano diversi film del Maestro, soprattutto fra i muti, fra quelli che ho visto questo I 39 scalini è certamente tra le opere meglio riuscite e non sfigura affatto vicino alle pellicole più mature girate in America.
Rifatto nel '59 da Ralph Thomas e nel '78 da Don Sharp.
Voto: 7.5
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