Regia di William A. Wellman vedi scheda film
Western atipico, dalla sceneggiatura non perfetta, ma visivamente meraviglioso grazie ad una suggestiva fotografia "noir" in bianco e nero ed all'originalità della regia di W. Wellman.
VOTO: 7,5 SU 10
Nell'Arizona del 1867, un gruppo di sette banditi capeggiati da James "Stretch" Dawson (Gregory Peck) attraversa un deserto per sfuggire alla giustizia, dopo aver rapinato un banca. Al termine dell'ardua traversata giungono a Cielo Giallo, un villaggio di cercatori d'oro ormai in stato di abbandono, dove solo una tostissima ragazza dal mascolino nome di Mike (Anne Baxter) ed il nonno continuano inspiegabilmente a dimorare. Sarà ovviamente il giallo metallo a mettere la banda in rotta di collisione con nonnino e nipotina, ma oltre l'interesse venale esiste pure il sentimento, che scombina i piani prefissati ed acuisce le tensioni all'interno del gruppo criminale, con “Dude” (Richard Widmark) a contestare le scelte del capo.
Film visivamente splendido grazie ad una stupefacente fotografia in bianco e nero di Joseph McDonald che, con l'accecante nitidezza della distesa desertica, le ombre che affollano la città fantasma nelle scene notturne, i contrasti in chiaroscuro che esaltano la ieraticità dei primi piani, crea atmosfere e suggestioni che sovente ricordano più il genere noir che il western. Suggestione visiva esaltata ulteriormente dai guizzi di talento di Wellman nel muovere la macchina da presa e nell'originalità di tante inquadrature, come l'inseguimento a cavallo iniziale, la ripresa attraverso la canna del fucile (avrà ispirato i creatori di James Bond?) e la sparatoria al saloon “negata” all'occhio dello spettatore.
Se la parte visiva è un capolavoro, la sceneggiatura è più convenzionale, e forse questo ha impedito al film di entrare nell'empireo dei grandi classici del genere. Se l'inizio, con al cavalcata nel deserto e le tensioni crescenti tra i banditi, è magistrale, dopo l'arrivo a Cielo Giallo la scrittura perde un po' di compattezza e di incisività. Magari sarebbe stato opportuno prendersi un po' più di tempo per sviluppare l'evoluzione dei loro rapporti tra i personaggi, soprattutto quello tra Stretch da un parte ed il nonno e Mike dall'altra, in cui il passaggio tra l'ostilità e la complicità appare un po' troppo repentino, e pertanto non appare sempre pienamente credibile la logica di alcune scelte, come quella del nonno di non chiedere aiuto agli amici indiani contro la banda. Anche il finale appare un po' buonista, ma probabilmente è stato imposto da codici e convenzioni morali e censorie dell'epoca, che esigevano di mostrare la redenzione per le malefatte passate per concedere al protagonista di godersi un lieto fine. Resta comunque originale ed atipica, per un western di quegli anni 40, la scelta di una banda di fuorilegge come protagonisti, offuscando la netta linea di separazione morale tra buoni e cattivi.
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