Regia di François Truffaut vedi scheda film
Terzultimo film di Truffaut, "L'ultimo metro" é un melo nella vena tipica dell'autore, ma meno disperato di altri e non privo di scene più leggere, con l'importante elemento del background storico con ambientazione nella Parigi occupata dai Nazisti nel 1942 e anni successivi. É un film che ricapitola molti motivi presenti in opere precedenti, dal triangolo amoroso che sembra quasi inevitabile nell'universo truffautiano alla fascinazione dello spettacolo che sconfigge le brutture della vita, dal bisogno di rispettare una coerenza morale oltre che artistica all'inevitabile sofferenza legata al sentimento, di cui si parla soprattutto nella pièce recitata da Marion, in un affascinante gioco di specchi con la realtà. Il film è governato da un piacere del racconto innegabile e da un linguaggio registico assai fluido, per quanto volutamente lontano dalla sperimentazione e dall'audacia anche formale delle prime pellicole; i suoi detrattori gli rimproverano di essere poco innovativo, perfino accademico o ingessato e non lontano da quel "cinema de papa" che lui stesso aveva detestato in gioventù, e forse si può riconoscere che l'intreccio soffre di qualche semplificazione e schematizzazione non troppo efficace (il personaggio di Daxiat ridotto un po' troppo a caricatura, così come la scoperta dell'omosessualità dell'attrice e della costumista che sembra buttata un po' a casaccio). Tuttavia, grazie anche all'eccellente performance dell'intero cast, fra cui spiccano una magnetica e memorabile Deneuve, un Depardieu in gran forma e un Heinz Bennent perfetto nel ruolo dell'intellettuale ebreo vittima di tempi bui, il film si fa seguire con interesse e con un genuino trasporto emotivo; la mano del regista è molto felice nell'inserimento delle scene recitate sul palcoscenico e nella gestione dei tempi e dei ritmi, avvalendosi di contributi tecnici al solito di prim'ordine per un film che all'epoca fu campione di incassi in Francia e vinse ben dieci premi Cesar. Un plauso comunque alla sontuosa fotografia del mago delle luci Nestor Almendros, sopratutto nelle scene a teatro. A conti fatti, non uno dei film più personali e sentiti del regista, ma un esempio di cinema d'autore che si pone al servizio del pubblico mainstream con rispetto e intelligenza, venendo una volta tanto ricambiato.
Voto 8/10
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