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The Krays - I corvi

Regia di Peter Medak vedi scheda film

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La recensione su The Krays - I corvi

di Stefano L
7 stelle

THE KRAYS (1990) 'Mummy loves yah!' | squareeyesfilms

 

Il primo lungometraggio sui fratelli Ronald e Reginald Kray, due gemelli criminali che misero a ferro e fuoco i bassifondi della capitale inglese nei turbolenti anni sessanta... Nella riproduzione dell’humus annodato allo sfondo urbano il lavoro di Peter Medak è pressoché impeccabile. Il mood ci riporta nelle frastornanti atmosfere di quel decennio: le Jaguar di lusso, i locali fastosi ed affollati, la musica swing, gli abiti vistosi, i vicoli cupi e sinistri. L’estetica di Alex Thomson è filtrata da una cosmesi tetra, in desaturazione, zelante nel pennellare contrasti acidi, insistentemente sulfurei; elementi corroboranti nelle esplosioni di violenza brusche ed impetuose, quasi disturbanti. Il sangue sgorga a fiotti, e le torture inflitte agli avversari che vanno incontro alla furia degli iracondi, collerici, indomabili Krayz sono indubbiamente barbare e crudeli. Un quadro truce ed esasperante, non esente in ogni caso da certi paludati frangenti, da forzature caricate all’eccesso, e mélo non sempre ben incastonati nell’ingranaggio. Il meccanismo della sceneggiatura è oliato con competenza, ma si inceppa nel delineare in modo pienamente convincente i profili dei giovani gangster. A conti fatti, quindi, le ridondanze gratuite non mancano, come aggressioni particolarmente truculente cui non precede uno sviluppo che ne giustifichi tanta efferatezza, un’ostilità troppo generica e stereotipata nelle veementi nuance dei “villan” (se così si possono chiamare, visto che i main character incarnano degli antieroi), e una platealità a volte sconveniente (l’urlo graziato sulle scale della fidanzata di Reginald è un po’ eccedente). Piuttosto evidenziato, e portato avanti con intensa incisività, l'integrante drammatico concernente la figura della donna emancipata e la sua influenza sulla psicologia della prole. Ruolo personificato appassionatamente dalla formidabile Billie Whitelaw; la madre, la tumultuosa ed inarrestabile Violet Kray. Prorompente anche il monologo al vetriolo sui feti abbandonati nel Tamigi, esposto dalla altrettanto considerevole Susan Fleetwood, l’amata zia Rose, affettuosa con i nipoti e aggressiva verso gli uomini. E loro? I protagonisti così blasonati? “I corvi” a cui hanno dato i volti di chitarra e basso degli Spandau, Marin e Gary Kemp? Be’… i musicisti si dilettano in performance finemente scolastiche, ossia, radenti ad uno schematismo spiccato, spesso perfino sulle righe, sebbene complessivamente soddisfacente nelle bandelle più sciagurate e dolorose (riuscita la scrosciante alchimia tra gli sposini, solo marginalmente affrontata l’omosessualità controversa di Ronald). Suggestivo pure il fosco tema sonoro di Michael Kamen, rimasto purtroppo anonimo, dato il riscontro non eclatante al botteghino.

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