Regia di Malcolm Ingram vedi scheda film
Kevin Smith racconta la sua parabola artistica ed esistenziale con la complicità di amici, stretti collaboratori e qualche parente (la madre, la figlia, il fratello, la moglie).
Forse il confine tra autoironia e autocelebrazione sfugge a Kevin Smith, cineasta eclettico e perennemente fuori dagli schemi, capace di confezionare commedie d'assalto per il botteghino mantenendo un'aura da artista alternativo. In queste due ore (non poche, a tutti gli effetti) di documentario è proprio Smith a raccontarsi, a tirar fuori le sue esperienze personali dall'infanzia al presente, affiancandole in parallelo a quelle artistiche, dall'incredibile successo di Clerks (1994), pellicola low budget che ha segnato un'intera generazione, fino a Jay and Silent Bob reboot (2019). L'autocelebrazione, si diceva, è il punto più spinoso da affrontare (soprattutto) per un fan del regista: d'accordo gli atteggiamenti goliardici e autoreferenziali, ma lungo tutto il film Kevin Smith è perennemente vestito con magliette di suoi film, il suo studio (in cui le interviste sono ambientate) rigurgita gadget dei suoi film e, sostanzialmente, il Nostro non fa altro che incensare i suoi stessi film dichiarandosi il primo fan di sé stesso, e sminuendo in tal modo i meriti dei suoi collaboratori e – perché no? - anche quelli dei suoi colleghi/rivali. In tre parole: pieno di sé, questa è l'idea che emerge da Clerk. A confortare la sua ricostruzione dei fatti intervengono a ogni modo amici e sodali del calibro di Jason Mewes, Brian O' Halloran, Matt Damon, Ben Affleck, Richard Linklater e persino Stan Lee, ma anche la moglie Jennifer, la figlia Harley Queen e il fratello Donald. Malcolm Ingram aveva già diretto un paio di lavori a soggetto e qualche documentario su argomenti di stampo LGBT. 6/10.
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