Regia di Derrick Borte vedi scheda film
Il nuovo film del regista tedesco Derrick Borte richiama soprattutto Un giorno di ordinaria follia di Joel Schumacher nell’incipit (e a cui il titolo italiano furbescamente ammicca) ma, in certe inquadratura e per come viene ripreso l’inseguimento tra veicoli per le strade, viene anche spontaneo il paragone soprattutto con lo splendido Duel di Steven Spielberg, seppur in questo caso ambientato in una sua variante più cittadina.
E come in Un giorno di ordinaria follia il protagonista è un uomo che si ribella a una vita di umiliazioni e di sconfitte e con una rabbia accumulata negli anni che improvvisamente esplode, in questo caso con una ferocia ancora più folle ed estrema, forse in relazione anche all’attuale situazione sociale negli Stati Uniti.
Perchè il film scritto da Call Ellsworth cerca di riflettere, affidandosi però alle tematiche cinematografiche di un thriller, su una realtà sempre più radicata e preoccupante, specialmente negli Stati Uniti, e chiamata “road rage” (rabbia da strada) come suggerito anche dal titolo originale (Unhinged ovvero rabbia incontrollata) e che inquieta nel suo realismo proprio perché non troppo lontano dalla realtà di tutti i giorni, e sfruttata anche per rendere cinematograficamente l’idea, anche inserendo nel titoli di testa stralci dei notiziari americani a commento proprio di casi del genere, e in quanto sintomo di una rabbia sempre più profonda e sempre più instabile, di una società che sta andando alla deriva, ormai sempre più fuori controllo.
Oggi la dimensione della protesta, non solo quella personale ma anche quella politica, sembra in gran parte convergere nel rancore verso il prossimo, con offese e ferite, reali o presunte che siano, che sembrano possano essere rimarginate soltanto infliggendole a nostra volta ad altri, che ne siano poi colpevoli o meno, di quelle ferite, non ha importanza.
E questo che fa Rachel in un moto di rivalsa e che provoca la reazione scomposta (e di certo non giustificabile) dell’uomo, rendendo immediata la nostra immedesimazione con lei e quindi il nostro parteggiare per lei.
Ma quello che Borte cerca di dirci è che, se non stiamo attenti e nonostante questo possa sembrarci impossibile, basta un qualsiasi giorno sbagliato per esserci proprio noi dall’altra parte, a guidare un SUV nero invece di una semplice utilitaria.
Il film è completamente costruito sullo scontro e sulla violenza (anche psicologica) come estrema risoluzione di ogni frustrazione personale e in questo senso la scelta di Russell Crowe come protagonista è assolutamente perfetta in quanto l’attore australiano (nella sua migliore performance degli ultimi anni) si presenta con un aspetto veramente mostruoso: stazza enorme, trasandato, espressioni truci e suoni animaleschi.
Più che un uomo una forza della natura implacabile e inarrestabile.
Non un semplice assassino ma anche, e in questo è evidente la strizzatina d’occhio alle tematiche del “me too” tanto in voga di questi tempi ad Hollywood, un "femminicida" e un maschio represso e misogino che vede in un’altra donna (interpretata dall’attrice neozelandese Caren Pistorius) il riflesso della moglie che lo ha abbandonato e quindi l’opportunità di recuperare attraverso la sopraffazione di un’altra femmina (e quindi un bersaglio facile) il proprio ruolo di maschio dominante.
E’ questo il punto di forza della pellicola che non si risparmia in colpi bassi e tensione, così come nel mostrare la violenza in modo esplicito, senza tentennamenti ma così come l’analisi della mascolinità tossica rimane inespressa dalla mancanza di background del protagonista e la riflessione sociale rimane sostanzialmente ferma alle intenzioni ma senza alcun vero approfondimento, così la tensione si allenta ogni volta che la storia si sposta dal personaggio di Crowe, figura ingombrante non soltanto per le dimensioni fisiche, rivelando tematiche e personaggi con un grande potenziale narrativo che finiscono però con lo spegnersi man mano che la vicenda procede verso il suo epilogo.
VOTO: 6,5
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