Regia di Mike Judge vedi scheda film
L’incipit è folgorante. Peter Gibbons, impiegato svogliato alla Initech, è in coda per recarsi in ufficio. Nella corsia di fianco alla sua la colonna delle auto procede spedita. Cambio rapido di corsia e, ovviamente, la coda si ferma: a lato, invece, dove si trovava prima, le auto hanno ripreso a muoversi. Di nuovo cambio di corsia e di nuovo fermo. Dal finestrino vede un anziano che cammina sul marciapiede che costeggia la strada: l’uomo si muove assai lentamente, con estrema fatica e solo grazie al suo deambulatore, ma pur con tutte le difficoltà del caso, riesce a percorre molta più strada di quanto non faccia Peter in auto. Su un’altra vettura, a sua volta bloccato nel traffico, un collega di Peter, Michael Bolton (un nome che per lui è una condanna) canta a squarciagola musica rap con l’autoradio a palla. Vedendosi avvicinare un mendicante, abbassa il volume, smette di cantare ed assume un contegno molto serio, salvo poi riprendere a scatenarsi quanto se non più di prima, non appena il mendicante si è allontanato. Su una terza auto, invece, Samir Nagheenanajar impreca ed insulta furibondo gli altri automobilisti. Intanto Bill Lumbergh, il vanesio e supponente capo dei tre sopracitati pendolari, parcheggia la sua “Prsche” (sulla targa infatti ha scritto proprio “My prsche”) nel posto auto a lui riservato alla Initech. Arrivato in ufficio, Peter sente l’impiegata, alla scrivania accanto, che risponde al telefono, meccanicamente e senza sosta, con la sua vocina acuta e stridula “Ufficio della contabilità, desidera? Attenda in linea.” (se la sogna persino di notte). Il tempo di guardare l’orologio e constatare che sono appena le 9,10 ed il suo capo Bill gli si avvicina ricordandogli di provvedere con urgenza alle copertine per i rapporti, come da memo fattogli avere in precedenza. Bill gli domanda se ha ricevuto il memo e se lo ha letto. Peter dice di avere ricevuto tutto, si scusa e dice che provvederà subito. Peccato che altri due dei suoi otto superiori poco dopo gli ricordino il medesimo compito. Come se non bastasse il balbuziente collega Milton, di fianco a lui, ascolta la radio ad alto volume. “E’ la malattia del lunedì” viene detto a Peter e ai suoi due amici Michael e Samir, peraltro alle prese con la fotocopiatrice che puntualmente si inceppa e provoca inconsulti ed incontrollati scatti di rabbia (la fotocopiatrice subirà in seguito la tremenda vendetta da parte dei tre inferociti impiegati). Peter viene dunque assalito da un incubo atroce che comunica agli amici: “E se fossimo ancora qui a 50 anni?” La visita da un ipnoterapista con la sua ragazza con cui è in piena crisi gli apre gli occhi. Il medico, dopo che Peter gli ha confessato che vive ogni giorno come se fosse il peggiore della sua vita, gli replica candidamente: “Sei messo proprio male!”. Nel tentativo di ipnotizzarlo il medico ha un malore e muore, ma Peter non si accorge di nulla e, anzi, torna a casa rigenerato. Il mattino dopo (un sabato) dorme sereno nel letto ignorando i continui messaggi che il suo capo gli lascia in segreteria per ricordargli che deve presentarsi in ufficio. Liquida per telefono anche la sua insopportabile ragazza ed inizia una nuova vita all’insegna dell’ozio e della pigrizia. Del resto Peter stesso dice, a proposito di un’eventuale vincita di un milione di dollari: “Me la prenderei comoda, mi gratterei tutto il giorno, non farei niente!”. Ai sempre più increduli Michael e Saimir confessa convinto: “Non siamo nati per starcene seduti in ufficio a fissare lo schermo tutto il giorno, a riempire moduli inutili e a prendere ordini da 8 capi che ci assillano con visioni e missioni” Peter riceve addirittura una promozione da parte dei due Bob, i boss della Initech, giunti in azienda a fare dei colloqui per riorganizzare il personale e piacevolmente sorpresi dai modi schietti, candidi e disinvolti del ragazzo. Come se non bastasse trova pure l’amore della bella Joanna cameriera insoddisfatta nel locale di fronte alla società in cui lavora dove abitualmente va a pranzare. Le cose però si complicano quando Peter decide di organizzare, con la complicità di Michael e Saimir, una truffa ai danni della Initech. In suo aiuto accorrerà involontariamente il bistrattato collega Milton, già licenziato dall’azienda da più di 5 anni ma, per un disguido amministrativo, ancora regolarmente stipendiato. Milton vede, suo malgrado, sempre cambiata la sua postazione in azienda e da ultimo viene collocato negli scantinati tra gli scarafaggi. Esasperato, decide di mettere finalmente in pratica la minaccia che va ripetendo invano da anni, a causa dei trattamenti poco lusinghieri e sfottenti che subisce ripetutamente dai suoi superiori. E così incendia il palazzo della Initech bruciando anche la lettera di confessione che Peter aveva lasciato nell’ufficio del capo, ma prendendosi i soldi che lo stesso Peter aveva sottratto alla società con i suoi amici (oltre trecentomila dollari) e poi aveva restituito. In questo modo le prove della colpevolezza di Peter svaniscono e Milton può godersi la sua bella vacanza ai Caraibi. La commedia di Mike Judge (interpreta il capo di Jennifer Aniston, fissato con il numero delle stellette da esibire sulla divisa da lavoro, famoso per essere stato l’ideatore e regista della irriverente serie cartoon “Beavis and Butt-head” trasmessa con successo da Mtv) funziona alla grande per la prima mezz’ora quando la satira sulla monotona e deprimente vita da impiegato è brillante, salace, pungente, spesso irresistibile grazie anche a diverse gag spassose e ben congegnate (i tentativi di Peter di evitare il suo capo per non essere obbligato a fare gli straordinari il sabato, i colloqui con i due boss della Initech, tra i momenti migliori dell’intera pellicola) e ad alcuni personaggi definiti in modo davvero esilarante ed incisivo (su tutti il viscido capo Bill Lumbergh, il collega sfigato e frustrato Milton a cui viene giustamente “regalato” il finale vacanziero, il folle vicino di casa di Peter che comunica con lui attraverso i sottili muri che dividono i loro appartamenti). Poche ben definite pennellate per inquadrare al meglio lo stress da impiegato di una grossa azienda, condannato, secondo le stime di Peter a “15 minuti di lavoro effettivo in una settimana!”. Poi i toni corrosivi e grotteschi si stemperano di botto e il film rivela la totale mancanza di una sceneggiatura articolata e di peso, perdendosi in un intreccio banale, futile, risaputo e poco interessante così che anche le risate si diradano e la noia, nonostante la breve durata, si affaccia prepotente. Come corto sarebbe stato perfetto (non a caso come tale è nato, Milton infatti era il protagonista assoluto di un corto animato del 1991), come lungometraggio rivela ben presto il fiato... cortissimo. Ottimi comunque gli interpreti, ma “Impiegati…male” non vale il di poco precedente “Clockwatchers” di Jill Sprecher che descrive e racconta da un punto di vista femminile, ma con maggiore finezza, realismo ed intelligenza, lo stesso alienante ambiente.
Voto: 6
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta