Regia di Tony Kaye vedi scheda film
La singolarità della sequenza iniziale (il giustiziere in mutande con svasticone tatuato, la fredda efferatezza delle esecuzioni da marciapiede) e la maestria con cui viene realizzata, illudono di stare per assistere a un pezzo da novanta della cinematografia di fine ventesimo secolo. Da lì in avanti, purtroppo, il pezzo perde i calibri, fino a ridursi a un pistolotto sociale di rara pateticità.
Un racconto che avrebbe dovuto (voluto?) essere di formazione (Bildungsroman, e ridagli coi tedeschi) ma nel quale il processo formativo viene annichilito dalla generale superficialità e limitato a poche battute e ancor meno inquadrature. Un processo di formazione con andata e ritorno, a colpi di click istantanei.
Primo click: due frasi fatte sociopolitiche da bar pronunciate a tavola dal padre pompiere un po' ignorantotto fanno sì che al giovane secchione progressista, divoratore di letteratura afro-americana, si aprano gli orizzonti che lo porteranno a farsi plagiare (come? dove? quando?) dal teorico nazionalsocialista di quartiere (quale quartiere non ne ha uno, suvvia), non meglio inquadrato arruolatore di giovani mentecatti. Da felpa-zaino-frangetta a canotta-svastica-testa rasata è proprio un attimo.
Secondo click: il gruppetto di nazisti tatuati (toh, che combinazione, fanno proprio al caso suo) cui si unisce in carcere lo delude sotto molteplici atteggiamenti etico-comportamentali, non ultimo quello di stuprarlo nelle docce (e qui quasi si ride, sì, per l'improbabile dinamica della sodomia, in piedi e a chiappe strette, con probabile nuovo record mondiale di velocità nella categoria stupro anale) e lo porta a riconsiderare le sue convinzioni. Un paio di libri (quali? perchè?) e la scoperta che esistono anche neri simpatici e rieccolo con la frangetta.
Tutt'intorno una carrellata di personaggi fasulli e pretestuosi, abbozzi di avatar delle categorie che si è voluto stereotipare. L'unico che quasi quasi ci piace, che arriva a tratti a togliere la scena al divo, è il fratellino, avviato sulle orme di famiglia e vittima anch'egli del nazi-orco arruolatore, salvarlo dalle cui grinfie diventa la missione dell'ormai click-formato fratello maggiore: un finale forzato, inutile e narrativamente disonesto ne impedirà il compimento.
Boh, che dire, ho colmato quella che ero sicuro fosse una grave lacuna vedendo solo oggi il film: sui titoli di coda, il ricordo delle esaltazioni e delle grida al capolavoro lette e udite negli anni credo abbia reso l'espressione della mia faccia di pietra ancor più istupidita.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta