Regia di Tony Kaye vedi scheda film
Un caricatissimo Edward Norton è costretto a mettere una delle sue migliori interpretazioni al servizio di un film che incarta lo spinoso tema del neonazismo in un levigato cellophane hollywoodiano. Il racconto non esce da una banale logica a due valori, buoni-cattivi, bianchi-neri, sia pur variandone le combinazioni, e resta ugualmente confinato nel classico ciclo di errore, espiazione, redenzione, rimedio e sacrificio. L'intenzione degli autori è illustrare le ragioni psicologiche, sociali e familiari del razzismo militante come fenomeno di massa tra gli adolescenti, presentandone tutte le disumane degenerazioni. Certamente calzante è la sua interpretazione come una rabbia che si radica nell'animo diventando un ideale, e quindi si propaga sotto forma di teoria ed organizzazione criminale. Tuttavia il messaggio non riesce a farsi penetrante, a causa della patinatura della pellicola, e della sua troppo evidente ricerca della drammaticità ad effetto. Plateale è anche l'impostazione moralistica, che impedisce l'obiettività dell'analisi e la genuinità dell'indagine introspettiva. In conclusione, questo film, con il suo linguaggio icastico e semplificato, sembra più ispirato da finalità di "pubblicità progresso" contro il neonazismo che da una approfondita inchiesta sul fenomeno. Un'opera al di sotto delle aspettative e, malgrado le apparenze, fondamentalmente debole.
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