Regia di Tony Kaye vedi scheda film
Film che tenta un dialogo con lo spettatore a proposito della deriva socioculturale degli Stati Uniti, affrontando l'inevitabile e spinosa questione del razzismo.
All'inizio sembra interessante dato l'approccio insolito e "dal dentro".
Peccato che a lungo andare Derek Vinyard (Norton) e suo fratello Danny (Furlong) comincino a sembrare degli emeriti imbecilli, il cui cervello è ridotto in poltiglia. Del tutto incapaci di formulare un proprio pensiero.
Tale incapacità si rivela essere il debole presupposto su cui si basa praticamente tutto il film e non è neanche ben inquadrato dal regista. Cosa rappresenta? La condizione propria del disagiato? La condizione ideale di cui ha bisogno l'elite governante (e non) per esercitare meglio il potere? O è semplice tendenza personale alla suggestione? Boh.
L' elevazione personale del protagonista è accompagnata da una troppo semplice retorica che sgonfia tutto e conclude sbrigativamente l'arco narrativo del personaggio.
Per il resto, le interpretazioni sono abbastanza buone e anche la fotografia in b/n.
Belle le musiche che conferiscono ulteriore drammaticità a un' America che, questo sì che viene detto chiaro, sta implodendo e affogando nel suo stesso sangue.
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