Regia di Tony Kaye vedi scheda film
Derek, un esaltato, con le pareti della camera tappezzate di immagini naziste e con una svastica tatuata sul pettorale sinistro, finisce in prigione per aver ucciso dei giovani di colore. Una volta scarcerato, riprende le relazioni con la sua famiglia: un fratello, due sorelle e la madre con la quale aveva avuto degli scontri durissimi.
E’ un uomo diverso, non è più quello che inneggiava all’odio razziale, che fomentava gruppi di fanatici ad assalire e devastare tutti i negozi del quartiere gestiti dagli immigrati. Si convince che tutto quello che aveva fatto era sbagliato.
Adesso vuole solo rispettare tutti, proteggere la sua famiglia e tirare fuori dal giro il fratello minore, Danny. Per fare questo, non può evitare lo scontro con gli ex amici che lo considerano ancora un dio. Il vincitore di questa lotta sarà quella “palla al piede” chiamata odio.
La narrazione si sviluppa con una serie di flashback, attraverso la tesina che Danny deve presentare al suo insegnante sulla vita del fratello maggiore, Derek. Il ragazzo lo considera un suo idolo, un modello da seguire nel bene e nel male, sia quando era studente modello, sia quando si poneva come leader inimitabile delle gang malavitose, sia quando, mutata vita, era diventato un giovane amabile e rispettoso degli altri.
Regista di documentari e spot pubblicitari, Tony Kaye dirige questa pellicola (su temi delicati come l’odio razziale, l’immigrazione clandestina, l’emarginazione sociale) con una certa abilità ed efficacia, evidenziando in alcune scene quanto la violenza e l’odio non sono spesso innati e quanto il carcere, nonostante duro e cruento, possa riabilitare il detenuto. C’è, però, un passaggio non chiaro. Negli USA un condannato per omicidio volontario non viene mai scarcerato dopo solo tre anni… Una svista del regista o un sommesso suggerimento al sistema giudiziario americano che spesso pecca?
Un film che fa riflettere sulla supremazia di un popolo sull’altro e sulla paura di un possibile ritorno del nazismo che non va mai sottovalutato.
Recitazione brillante di un maestoso Edward Norton che viene candidato all’oscar come migliore attore protagonista. Peccato davvero che sia rimasta solo una candidatura.
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