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Rage - Fuoco incrociato

Regia di Tonino Ricci vedi scheda film

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La recensione su Rage - Fuoco incrociato

di giurista81
5 stelle

Probabilmente il post-atomico italiano con la peggiore fama (nonostante non sia il meno riuscito) nonché il meno conosciuto tra gli appassionati. Ho atteso venti anni per vederlo, ai tempi non si trovava neppure su e-mule. Esce nel periodo di forza del sottogenere, nel 1984, quale seconda pellicola di un progetto che comprende anche Rush (1983). Sono gli anni in cui Sergio Martino, Enzo G. Castellari, Bruno Mattei e Joe D'Amato si misurano sulla tematica guardando a John Carpenter e soprattutto a George Miller. Qua la sceneggiatura è pressoché assente, con un soggetto risicato che segue la via del più classico dei point to point sulla scia de Il Guerriero della Strada (il finale è un chiaro omaggio). Per cercare di compensare le mancanze scenografiche, si ovvia (o si tenta di farlo) con molti dialoghi didascalici che cercano di spiegare cosa sia successo.

Tonino Ricci, alla regia, ha poco o nulla in mano, tuttavia porta in fondo uno z-movie girato e montato con grande mestiere, che non fa rimpiangere la presenza di registi più famosi (ripeto, il problema sta nella storia). La regia è infatti buona e ispirata. Semi-soggettive, camera car, dettagli, zoom in e zoom out. Alla maniera dei film di Fidani (di cui Ricci è sicuramente superiore), si impolpa il tutto con azione, pestaggi, scudisciate che aprono ferite sulla pelle e qualche scenografia d'effetto sebbene trash sia di casa (il passaggio nel luogo avvolto dalle radiazioni). Dominano i trasferimenti di sede, con jeep, cavalli, Volvo, motociclisti (che sebbene siano in tre e vengano sistematicamente uccisi si ripropongono di continuo) e improbabili agguati fungono da diversivi di una trama estremamente povera.

I costumi sono pessimi. Meglio le interpretazioni, specie se si valuta il contesto decisamente di recupero. Ricci riesce a far funzionare il protagonista Bruno Minniti e il cattivo Stelio Candelli (scimmiotta il Volontè di Per Qualche Dollaro in Più). Lo stesso Werner Pochath fa meglio qua che nei film di Bruno Mattei (no, che ci volesse molto). L'atmosfera è da spaghetti western, un po' a I Nuovi Barbari (1983) di Enzo G. Castellari. In definitiva,per i cultori del cinema bis italiano è meglio della fama che lo precede. Vedibile.

 

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