Regia di Gaspar Antillo vedi scheda film
Intenso e toccante dramma. Location incantevoli, musiche splendide. prove attoriali superlative
Nell’incipit assistiamo a un alternarsi di immagini, il cui sottofondo musicale suggestivo, si sposa magnificamente con i paesaggi boschivi, in cui il protagonista, in un’atmosfera fiabesca, si muove. I flashback ci mostrano un bambino con una voce incantevole; si chiama Guillermo o Memo, che per le sue notevoli qualità canore, ha attirato l’interesse dell’industria discografica; coltiva il sogno di diventare una pop star, ma un impresario senza scrupoli, confida al padre, che con quel volto e il suo corpo obeso oltre misura, non può bucare lo schermo, cosi costui con la complicità dell’avido genitore, decide di sfruttarne il talento, senza farlo apparire. il Guillermo bambino registra i brani musicali, che poi vengono “venduti” e proposti in playback da un altro, un bel ragazzino, meno talentuoso, ma con un aspetto più piacevole: Angelo che finge di cantare le bellissime canzoni di Memo, raccogliendo al suo posto gloria e popolarità. Il film ci riporta al presente ormai i due bambini sono diventati grandi, Angelo è divenuto un ambiguo life coach su sedia a rotelle, mentre Memo, alias Josè Garcia, è un omaccione ingombrante e trasandato,che si è rintanato in un'isola sperduta del Cile, in compagnia di suo zio, nella sua fattoria lontano dalla civiltà, imprigionato nei suoi rimpianti, oltre che nelle colpe che gli vengono attribuite. Confeziona pelli di pecora e si infila pericolosamente nelle case dei vicini, per ascoltare le loro storie e vivere di riflesso le loro vite, crogiolandosi in momenti di assoluta solitudine, evitando qualsiasi contatto umano. Finché un giorno, il fato bussa alla sua porta, per offrirgli una seconda possibilità, per tornare a vivere. Lo zio si infortuna ed è costretto ad andare in ospedale, in quell’occasione Memo conosce Marta, interpretata dalla bravissima Millaray Lobos, ragazza affettuosa e senza pregiudizi. In un momento di relax, Marta registra la splendida voce di Memo e la posta su you tube. Proprio questo video, scatena di nuovo il caso della pop-star mancata, spingendo giornalisti e curiosi a provare ad intrufolarsi nell’abitazione di Memo, costringendolo alla fine, ad accettare un faccia a faccia con il suo antagonista Angelo. Nel confronto televisivo, vera resa dei conti, Memo avrebbe la possibilità di spiattellare la verità, occultata per anni, e dichiarare la sua versione dei fatti, davanti a milioni di spettatori. Ma il protagonista non è lì per il pubblico, che non ha mai avuto, ma per sé stesso, per sentirsi vivo e in completa armonia con la sua vera essenza; nel finale, assolutamente toccante, Memo non “asseconda” la volontà dei presentatori o degli spettatori morbosi, o quella di Angelo, rancoroso e sempre incline a speculare, ma decide di cantare la sua canzone, solo a telecamere spente, durante un fuori onda, in una splendida performance a cui assistono solo i presenti e sé stesso. Ma tanto basta. Guillermo consapevolizza di non dover dimostrare niente. La suggestiva metafora racchiusa in questo film spinge alla riflessione sull’essenzialità; la popolarità non è essenziale, Memo sa cantare, lo sa lui e solo questo conta, il protagonista non ha più bisogno di colpevolizzarsi e di scappare. Apre l’ armadio e a tu per tu con i suoi scheletri, Memo ci regala quello che è il messaggio dell’opera e che, è rinchiuso nel testo della canzone che da il titolo alla pellicola, e il messaggio è chiaro“ per essere felici, non abbiamo bisogno d’altro che della nostra approvazione”
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