Regia di John Sayles vedi scheda film
Se si potesse partire dalla conclusione - che entra di diritto tra quelle estremamente ricercate e particolari degli ultimi anni - senza rivelar troppo... Meglio cominciare dall’inizio allora e dalla molteplicità dei personaggi (e al loro ipotetico “svisceramento” come salmoni), di qualche spezzettatura o del dialogo accatastato che potrebbero richiamare alla mente Altman. Nel prosieguo, però, il regista isola (letteralmente) tre personaggi facendo prendere al film ed alla vicenda una direzione del tutto imprevedibile. Ma le sorprese (giusto preservarle) non finiscono qui. Superfluo dirlo ma il centro di gravità è rappresentato proprio dal tema del racconto, le sue possibilità, le pieghe nascoste e il/la fine stesso/a della narrazione. Inteso questo, l'insieme ritrova la sua ragion d'essere (a cominciare dalle locations "di confine") e null'altro conta, se non lo sterminato contesto uggioso in cui guizzano, si dibattono, contorcono e dimenano come pesci morenti i disillusi indigeni. Proprio nel suo uggioso ma genuino romanticismo, tra gelido disincato e l’integro fascino di una primordiale lotta per non soccombere di fronte alle avversità di ogni tipo, la pellicola trova il suo consolidamento. Sayles poteva risparmiarci però la smaccata polemicità derivante dalle fin troppo apertamente odiose ciance dei faccendieri. Ultima annotazione: la bimba ci sa davvero fare (raggelante il suo momento di intimità da "cutter girl"). Salutare e corroborante come una nuotata in un lago, di buon mattino, nel freschetto delle stagioni più inclementi.
Emaciata, quasi consumata e rosa, sputa fuori una stentorea voce, discretamente modulata ed emotiva, che lascia di stucco. Si può considerare una rivelazione?
Controverso (per quanto odi il termine, molti lo ritengo tale). A volte incompreso, a volte sopravvalutato. Preso nella giusta prospettiva, non delude.
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