Regia di Darren Aronofsky vedi scheda film
Guardare direttamente il sole all’età di sei anni, esserne colpito nella mente come in una visione platonica e ridiscendere tra le ombre, nella caverna dei vivi, per continuare a ricordare ai limiti dell’indicibile, della follia, tra emicranie e analgesici; per cercare di rammemorare quell’Uno, che si dipana nel molteplice, articolando la struttura numerica dell’universo, e che si riverbera su ogni ente, su ogni dettaglio, fino alle conformazioni delle conchiglie e degli insetti: in tutta questa ostinata ricerca dolorosa consiste il destino del precoce matematico Maximillian Cohen, laureatosi all’età di 20 anni, e che ora, per le sue doti matematiche, è ricercatissimo dai lupi quotati a Wall Street, ma anche dai mistici cabalistici della Torah.
Maximillian però non è né un mistico cabalista né un broker a comando; in un’esistenza rigorosamente schiva e solitaria, guardinga contro ogni contrattempo mondano che lo distragga dal pensiero, egli è semplicemente un matematico platonico, che non può fare a meno di ricercare lo schema pitagorico dell’essere, con maniacale ossessione, incentivata dalle sue emicranie e dall’uso persistente di narcotici. Il suo è un viaggio nel delirio metafisico di un’esistenza che va a sbattere contro i confini dell’oggettività empirica, in cui la razionalità è forzata fino al punto di esplodere, come lo stesso computer di cui si avvale, che deflagra non prima di stampare una sequenza di 216 cifre, che dovrebbe essere, finalmente, se ben decifrata, lo schema stesso dell’essere.
In una sorta di fuga allucinata e pesecutoria, da chi vorrebbe capirgli il segreto (siano essi i manager della Torah o del Mercato), Maximillian introietta lo stessa schema persino a livello somatico, dal momento che lo schema finisce per diventare una protuberanza al di sopra del suo orecchio, costringendolo a dolori acustici insopportabili, fino a indurlo a perforare la stessa protuberanza con un trapano. Lo ritroveremo nelle sequenze successive in uno stato di beata contemplazione catatonica, illuminato dal sole, del tutto incapace di risolvere qualunque calcolo matematico.
Un’ opera rigorosamente in bianco e nero, struggente, dal fascino gotico e surrealista, magistralmente costruita con m.d.p. da pedinamento, che insegue vorticosamente Sean Gullette nella sua grande performance, con quegli occhi che cercano da tutte le parti del mondo uno spiraglio, ma che non trova, se non dopo aver dato una svolta, lasciandosi dietro tutta la faticosa ascesi della razionalità per godersi la semplicità dell’atto noetico. Come non ricordare la disperazione e il misticismo di Wittgenstein... e di tutti coloro che su questa terra non hanno altro interesse che quello di cercare oltre le ombre della realtà a costo di diventare la realtà di un'ombra.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta