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Illusioni perdute

Regia di Xavier Giannoli vedi scheda film

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La recensione su Illusioni perdute

di gaiart
9 stelle

"Un penna. Della carta. E l'amore per la bellezza". Con queste potenti parole si apre, non solo il capolavoro letterario di Balzac, Illusiones perdues appunto, sulla vita del collega, amico, nemico, rivale e giornalista Lucien de Rubemprè, ma anche questo elegante film, ambientato nella Parigi ottocentesca che diviene politico ed estremamente att

"Un penna. Della carta. E l'amore per la bellezza". 


Con queste potenti parole si apre non solo Illusiones perdues, capolavoro letterario di Balzac, ma anche il film da cui è liberamente tratto da Giannoli. Interpretando la visione olistica, caleidoscopica, camaleontica che della società ha Balzac, grazie all'onnipresente e sempre perfetto Xavier Dolan e in particolare il caso umano e sociale nella vita del collega, amico, nemico, rivale e giornalista Lucien Chardon de Rubemprè, (splendido disordinato e folle Bejamin Voisin che regge da solo e così giovane senza cedimenti due ore e mezza), la pellicola trova ambiente nella Parigi ottocentesca.

Dal romanzo poi arrivare alla realtà è un attimo.

Tutto diviene così politico, contemporaneo e invadente per le tematiche sollevate. 


Una su tutte? Il rapporto della stampa con verità e menzogna in relazione al potere che, come prevedibile, tocca il nervo scoperto di molti giornalisti presenti in sala, nel bene e nel male, suscitando il plauso della critica con claque, si spera, "non paganti" e scroscianti, così come quello del pubblico commosso per dieci minuti. 

A dimostrazione che dove c'è autenticità, eleganza e scrittura, c'è tutto.
 

Povertà, ricchezza, sfarzo, grandi capigliature, ossimorici costumi, palazzi sgorganti storie origliate nei muri, nobilità seduta e statica, puttanelle "demi castorine" al balcone, monarchici e liberali, editori analfabeti, patron e protegèe traballano ai colpi della restaurazione francese e sotto l'egida dell'arte, sia teatrale che giornalistica, che si sta sviluppando in quegli anni. Anche a colpi di pubblicità, marketing e baratti economici.

Lucien Chardon, detto de Rubemprè, è un giovane orfano, poeta sconosciuto nella Francia del XIX secolo, un pò come Sorrentino nell'altra grande pellicola sempre in concorso:  E' stata la mano di Dio. Ma due secoli prima. Nutre grandi speranze, un pò Dickens con Great Expectations e un pò Oliver Twist ed è deciso a forgiare il proprio destino.

 

Abbandonata la tipografia di famiglia nella città natia, decide di tentare la sorte a Parigi sotto l’ala protettrice della sua mecenate, fiero delle sue poesie nella raccolta dal titolo Le Marguerite. E se nel lavoro precedente di Giannoli si esaminava un'altra Margherita, cioè la Dumont, ricca e senza talento, qui invece la povertà sfodera originalità, ricercatezza e potenza espressiva.

 

L'arte nasce dal basso diceva qualcuno - a cui nessuno probabilmente ancor oggi da ascolto, trovando poltroncine di velluto rosso sempre per i soliti raccomandati. 

Il problema  che lega cultura, arte e denaro è sempre quello da secoli. Il primo è inavvertitamente in mano al secondo e questa tendenza, salvo sporadici casi, non accenna ad invertirsi. Eppure dall'alto della noia borghese non cadono molte idee, tra un ricevimento e l'altro, tra una caccia e l'altra, tra un indecoroso tè danzante e una palpatina e l'altra, dove le sfumature raggiunte non sono quelle dell'identità dei versi ditirambici, ma solo quelle legate ai cangianti tessuti di taftà degli abiti indossati dalle nobil signore che, di nobile, hanno ormai solo il titolo. Di sicuro non il sangue.

La grandezza di questo film poi e di Balzac prima, giace appunto nella capacità caleidoscopica di ritrarre emozioni, società, sapori e dissapori di borghesia e ceti più umili o nobiità. La comedie humaine appunto che tocca tutti, al di la del conto in banca. 


Lasciato presto a cavarsela da solo in questa turbinante Parigi città, descritta come una donna che alza la sua sottana per svelare la sua natura, il giovane scoprirà le macchinazioni in atto in un mondo che ubbidisce alla legge del profitto e della simulazione. 

Giannoli che si racconta è paragonabile ad essere avvolti da una calda corrente marina, tipo quella del Golfo, un vero e proprio idromassaggio templare che rigenera gli emisferi cerebrali. 

 

 

GSS: Perche Balzac? Lo sapeva che gli è stato intitolato un cratere su Mercurio?

XG: Perché capisce il mondo intero. Per i soldi, perchè getta la matrice del mondo moderno, perchè quando sei un uomo giovane vuoi trovare un posto nella vita con lo sforzo, per la fatica di vivere e la nuova civilizzazione, già molto focalizzata sul denaro. La sua è una commedia umana dove tutto può essere comprato o venduto, il successo letterario e la stampa, la politica e i sentimenti, la reputazione e l’anima. Perchè quello che è bello, la bellezza, ha una chance. Sono affascinato da questo nuovo mondo come fanno i miei bambini in Instagram. Mi domando se perderemo la bellezza, se non ci saranno più i libri, se tutto diventerà veloce, ibrido.

Sono ossessionato dai dettagli, il modo in cui cammini, parli, ti vesti, ti esprimi; tutto è legato all’economia e non si sa più  se la bellezza continuerà ad esistere.

Il romanzo di Balzac rivela la matrice del mondo moderno, il momento in cui un’intera civiltà era sul punto di cedere alla legge del profitto con l'intervento del consumismo e le leggi di domanda e offerta. Volevo prolungare quel gesto grazie al cinema, prendendomi, rispetto al testo originale, delle libertà che mi permettessero di esprimerne lo spirito.

 

 

GSS: Come è stato lavorare con un altro geniale regista/attore come Xavier Dolan? Facile da dirigere?
XG:
 è stato fantastico molto professionale, bravo e ha messo anche delle sue suggestioni personali nella lettura del personaggio.


GSS: Per te Benjamin? 
BV: Mi sono trovato benissimo molto divertente sempre accanto a lui, ben affiatati. E' diventato come un fratello.


GSS: C’è un frase bellissima; "Le mie poesie perderebbero di significato se dovessi spiegarle. Com'è il suo rapporto con la stampa che, di solito non capisce una beata mazza. Sorrentino dice che i critici sono inutili, cosa ne pensa?
XG:
 Mio papà, a cui ero legatissimo, era un giornalista e ha passato 40 anni nei giornali. Ed io con lui. Posso vedere la bellezza di questo lavoro. Per molti è una missione.  Nel romanzo si descrive un nuovo mondo cinico, ma non sono tutti così. Non tutti i giornalisti e non tutti i giornali. Non la penso come Sorrentino perche ho incontrato grandi critici che mi hanno anche arricchito. Per quanto riguarda la scrittura, l'ho scritto in più anni, in tempi diversi, più di venti. Ho aspettato il momento giusto. Anche nello studiare la musica adatta ci ho messo tanto perchè doveva essere un momento di liberazione.  E pensare che a vent'anni volevo fare il professore.

 

 

 

 

 

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