78ma MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA - IN CONCORSO
Xavier Giannoli vince la scommessa di portare sullo schermo le pagine ottocentesche del romanzo Illusioni Perdute di Honoré de Balzac, senza stravolgerle con una modernizzazione forzata, ma rendendole comunque fruibili ed appetibili al gusto moderno.
Le illusioni sono quelle del borghesotto provinciale Lucien (Benjamin Voisin), che per seguire la donna amata si trasferisce a Parigi, dove spera di raggiungere fama e onore con la carriera letteraria. Nella capitale troverà da una parte le porte sbattute in faccia da un'aristocrazia che lo esclude per le sue origini, dall'altra uno spietato nascente sistema capitalista che ha già invaso anche il mondo delle arti e delle lettere, ormai dominato dalle logiche commerciali e di profitto.
È sorto così un sistema di compravendita delle recensioni positive e negative, con gli avidi critici pronti a mettere all'asta le loro lodi agli autori speranzosi di farsi notare o le stroncature ai loro malevoli avversari, tanto ogni pregio può essere tramutato in uno speculare difetto dalla loro abile penna mercenaria. Anche i fischi od ovazioni a teatro sono orientati da claques prezzolate, per cui il successo drammaturgico appartiene a chi se lo paga in anticipo.
Nonostante la durata che supera ampiamente le due ore, il film riesce ad avvincere ed intrattenere grazie ad una scrittura molto arguta che mette in risalto un meccanismo cinico e crudele che anticipa per molti aspetti il moderno show o art o book business. E lo fa senza smaccate attualizzazioni che avrebbero tradito la pagina quasi bisecolare. Altro elemento che tiene ben svegli durante due ore e passa di Balzac è il montaggio vivace, che dà la cadenza ad un ritmo frizzante scandito dalle musiche da camera del periodo. Il confronto con il pedante
The Lost Daughter di Maggie Gyllenhall, visto due giorni fa qui alla Mostra, ci rende evidente come Giannoli sia riuscito a trarre dalla sua fonte letteraria un adattamento molto più cinematografico e meno libresco, pur affrontando un testo molto più antico di quello di Elena Ferrante.
Tra gli interpreti mi ha stupito piacevolmente vedere il regista Xavier Dolan, di solito attore per sé stesso, che qui sfoggia un francese depurato dal marcato accento canadese che caratterizza la sua naturale parlata.
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