Regia di Mathieu Amalric vedi scheda film
Pur nel suo andamento ondivago e nella sua struttura apparentemente involuta, è un film che trova nella originalità dei suoi equivoci fantastici la realtà di un dramma personale da cui solo la straordinaria facoltà di astrazione della mente umana sembra capace di trarci d'impaccio.
Una mattina Clarisse si alza dal letto lasciando il marito ancora disteso, visita rapidamente la camera dei figli ancora nel sonno, prende le chiavi della vecchia auto nel garage e si allontana rapidamente da casa senza farvi più ritorno.
Come li cambierà il tempo per abituarli alla reciproca assenza?
Ma vie sans toi. Ta vie sans moi
Questa sembra la domanda esistenzialista che ruota attorno ad una melodramma fantasmatico che fa il verso a Senza Fine di Krzysztof Kieslowski, riecheggia delle amorevoli cure di una presenza ultraterrena che non ha lasciato tavolette ihai in giro per casa e fa pure a meno delle paturnie ricattatorie di una Sarah Polley in versione Love Story. Almaric costruisce con un certo gusto per il giallo sovrannaturale una storia di abbandono ed elaborazione del lutto che trova nella specularità dei punti di vista e nell'apparente simmetria delle situazioni, una giustificazione emotiva ad una verità inaccettabile o incomprensibile e dove le pericolose derive del senso di colpa vengono arginate da un ribaltamento di prospettiva che coincide narrativamente con un percorso itinerante lungo le tappe di una personale via crucis in territori di confine (il mare, la montagna!); nel paradossale tentativo di avvicinarsi ai propri cari ed alla verità del proprio dramma umano, quanto più ci si allontana da casa e da un epicentro degli affetti ormai svuotato di ogni reale presenza terrena.
Giocato su di una cognizione dello spazio fatto di contrapposizioni e da una concezione del tempo che si avvia su binari solo in apparenza divergenti, il film di Almaric contrassegna la temporanea scissione della vita della sua protagonista di episodi che chiamano in causa le dimensioni complementari del reale e del plausibile, punteggiandole con i sintomi dolorosi di una presa di coscienza che fornisce molto presto la giusta imbeccata per gli spettatori più distratti e rafforzandone la resa melodrammatica attraverso uno iato con la realtà nella prosecuzione con altri mezzi di perniciose fantasie che talora suscitano compassione e più spesso reclamano il biasimo. Pur nel suo andamento ondivago e nella sua struttura apparentemente involuta, è un film che trova nella originalità dei suoi equivoci fantastici la realtà di un dramma personale da cui solo la straordinaria facoltà di astrazione della mente umana sembra capace di trarci d'impaccio.
Bellissimo il sountrack e bravissima la stranita protagonista di una allampanata e dolcissima Vicky Krieps, per un film presentato a Cannes 2021, che su due candidature ai Cesar francesi ed una ai Magritte belgi non ha beccato nenneno una statuetta.
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