Regia di Michel Franco vedi scheda film
Venezia 77. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Penzolano i corpi dalla forca mentre la bandiera si contorce mossa dal vento impetuoso della restaurazione. Dall'alto del pennone il drappo torna ad ostentare i valori laici del paese di Benito Juarez: la speranza di colore verde, l'unità di colore bianco, il sangue eroico dei figli della patria di colore rosso. Verde, bianco, rosso... La bandiera messicana è molto altro ancora: il verde smeraldo delle rigogliose foreste equatoriali che hanno ingoiato secolari piramidi e millenarie divinità atzeche; il verde brillante di un futuro fecondo reclamato a gran voce dalla popolazione che chiede di godere dell'abbondanza dei ricchi, o più realisticamente, di una fetta di essa per rendere dignitosa l'esistenza; il rosso vivo del sangue versato sulle strade lastricate dei corpi di vittime e carnefici, di campesinos e cittadini, di civili e militari; il rosso scuro delle pulsioni violente che ribollono nelle arterie di chi chiede giustizia, e nelle vene di chi non è disposto a concederla; il bianco candido del cuore puro dei giusti che reclamano poco per sé e molto per gli altri.
Michel Franco si impossessa delle fulgide tinte del tricolore e le tramuta in simbolo di un'implosione sistemica, sempre latente nel suo paese d'origine, e di una crisi sociale che sfocia nella guerriglia e nella sua brutale soppressione. La vernice imbratta di verde Città del Messico, le sue strade, le lamiere e i parabrezza delle auto; cola dai muri e sporca gli stipiti delle porte preannunciando un castigo divino che non risparmia nemmeno gli eletti che vivono nei facoltosi quartieri della capitale. L'acqua esce verde dai rubinetti ed i morti accatastati sono cosparsi del colore speranzoso di un nuovo stato sociale anziché del rosso scuro del sangue coagulato a contatto con l'aria. Il verde di Michel Franco è il colore di una disperazione esplosa improvvisamente negli strati più umili di un popolo che non riesce più a sopportare tanta disparità di ricchezza. L'abito della sposa è, invece, rosso come il sangue versato nel villino invalicabile ove si celebra un importante matrimonio. Non c'è purezza in quel luogo o forse la purezza di alcuni nulla ha potuto per contrastare la ferocia degli assalitori. Eppur Mariana che veste un abito dal terribile presagio di morte, che le risalta il pallido incarnato bianco, è pura come il vestito che indossa in un atelier nel collage di immagini inquiete di inizio film. Perché abbia scelto quel rosso fiammante anziché il classico bianco nuziale non ci è dato sapere. Forse la scelta è dovuta al matrimonio civile o forse quale rispettoso omaggio ad una tradizione cristiana che vede il bianco adatto alle sole vergini. Forse Mariana non è più vergine nel corpo ma lo è nell'anima poiché non esita ad abbandonare il ricevimento in suo onore per aiutare una serva malata che abita fuori dal dorato mondo dell'elite bianca di Città del Messico. Con l'autista di etnia mesoamericana, figlio della tata si spinge al di fuori della zona sicura del proprio quartiere per aiutare due ex servitori della propria casa mentre quest'ultima viene assalita dai rivoltosi.
Non è un Messico distopico quello che si para davanti ai nostri occhi in tutte le sue disparità sociali bensì un'anticipazione di ciò che potrebbe accadere qualora una sommossa attecchisse in luoghi dove la democrazia è un lattante che muove i primi e claudicanti passi nel mondo.
Il regista messicano Michel Franco ci offre un avvertimento dal ritmo serrato che lascia la bocca senza saliva e lo stomaco afflitto dai crampi. Verrebbe da pensare che Franco patteggi per le minoranze etniche e per il popolino ma non è così. Fortunatamente la sua analisi non va in un'unica direzione e lo si può notare dai personaggi. Mariana è l'eccezione in una famiglia facoltosa votata a conservare i propri privilegi dove, anzi, qualcuno come la madre dello sposo, approfitta della situazione per accrescere il proprio prestigio. Ma non tutti i ricchi sono delle canaglie e non tutti i poveri sono santi. Tra la servitù fino a poco prima prodiga di salamelecchi c'è chi converte i propri cerimoniosi inchini in pugni serrati sul manico di un coltello. I militari che sembrano appoggiare la rivolta popolare giocano la loro partita di sequestri e riscatti mostrando la perizia che ogni esercito ispano americano palesò durante le dittature figlie della guerra fredda. Nelle gesta terribili dei militari che cercano il proprio tornaconto e non certo la sicurezza dei cittadini Franco mette l'accento sul vile comportamento dei ranghi più bassi delle Forze Armate ma solo alla fine del film l'autore messicano rappresenta la vera natura dell'Esercito condannando la rappresaglia degli Stati Maggiori che per mantenere immacolato il proprio onore non esitano ad adottare le peggiori bugie e le più sanguinarie azioni a danno del povero quanto del ricco, del campesinos quanto del bianco, del civile quanto del militare.
"Nuevo orden" racconta magistralmente il susseguirsi delle azioni e delle reazioni ad un evento bellicoso mostrando tutti i passaggi che portano alla limitazione delle libertà personali: da quelle di pensiero a quelle di movimento fino a quelle lavorative. Visto dopo i lunghi mesi tardo invernali di lockdown la visione di questo film, concepito prima dell'ingresso in scena del virus nella nostra quotidianità, mette i brividi. Lavoratori non essenziali bloccati a casa, possibilità di recarsi nel luogo di lavoro condizionata dall'emissione di appositi permessi, coprifuoco serale, razionamento dei beni di consumo, tornelli e posti di blocco hanno richiamato il presente lasciandoci comprendere quanto preziosa sia la libertà che godiamo e quanto poco sia il sacrificio a cui siamo stati chiamati rispetto alle tragiche conseguenze di un capitombolo della democrazia. A Venezia il "nuovo ordine" di Michel Franco ha conquistato il Gran Premio della Giuria andando a confermare la tendenza verso una maggior attenzione del cinema nei confronti delle minoranze amerinde, un'attenzione che negli anni recenti ha garantito la presenza al festival di grandi film come "Roma" e "La llorona". Speriamo, ora, di vederlo al cinema, senza dover esibire un lasciapassare per accedere ad una sala o di dover indossare il simulacro di una maschera a gas.
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