Regia di Christian-Jaque vedi scheda film
Paul Dupré, ricco cardiopatico di mezza età, muore a causa della somministrazione per endovena di un farmaco da iniettare via intramuscolare. Ad essere accusata è la sua giovane infermiera (ed amante) Gina Bianchi, ma la moglie Catherine non è affatto estranea al letale scambio di fiale...
Adattamento del romanzo "Les bonnes causes" (1960) del giornalista e romanziere di successo Jean Laborde, "Il delitto Dupré" più che un polar vero e proprio è un noir giudiziario scandito da un ritmo spigliato e percorso da una vena paradossale che lo trascinano spesso e volentieri dalle parti della commedia. Assai distante dai più recenti "legal thriller" hollywoodiani, il film di Christian-Jaque (supremo rappresentante del "cinema di qualità") si destreggia assai abilmente tra tratteggio delle psicologie, definizione delle situazioni e riflessione sull'amministrazione della giustizia. Grazie ai brillantissimi dialoghi di Henri Jeanson (vecchia volpe dei copioni francesi), al bianco e nero smagliante di Armand Thirard (direttore della fotografia, tra gli altri, di Henri-Georges Clouzot) e ad interpretazioni sopraffine (Marina Vlady nei panni della manipolatrice Catherine Dupré, Pierre Brasseur nel ruolo del causidico avvocato Charles Cassidi e Bourvil nella parte del donchisciottesco giudice Albert Gaudet su tutti), "Il delitto Dupré" garantisce 112' di professionalità cinematografica a 24 carati.
Tutto è assolutamente inappuntabile in questo giallo legale in prezioso cinemascope: l'equilibrio nel dosaggio delle informazioni (l'autentica dinamica del delitto viene rivelata con sorniona nonchalance), la miscela di subdolo cinismo e vanità professionale (la sensuale spregiudicatezza della signora Dupré stuzzica l'amorale istrionismo dell'avvocato Cassidi) e la fitta ragnatela di menzogne che avvolge la verità fino a farla scomparire del tutto (l'astuzia dialettica dell'avvocato riesce a deformare la realtà a suo uso e consumo). Se a tutto ciò aggiungiamo una regia cristallina che non rinuncia a concedersi pezzi di bravura in punti strategici (come l'incipit girato interamente in soggettiva), la descrizione del film risulta sufficientemente chiara: una pellicola argutamente scritta, impeccabilmente interpretata e abilmente diretta. In una parola, calligrafica. Unica perla nera: il personaggio di Bourvil, stringhe perennemente slacciate, reietta incarnazione della giustizia.
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