Regia di Aleksandr P. Dovzenko vedi scheda film
"Arsenal" mi ha colpito più che non "La corazzata Potëmkin", per una maggiore potenza delle immagini, una maggiore velocità del montaggio, forse anche una maggiore fluidità del racconto. È ovvio che si tratti di un film rivoluzionario, come il film di Ejzenstein, il quale si colloca all'estremo della parabola dell'esaltazione rivoluzionaria (Majakovskij si suicidò nel 1930), quando ancora ai registi era possibile avere una certa libertà d'espressione. Dovzenko (1894 - 1956) è uno dei tre sommi registi sovietici, con Ejzenstein e Pudovkin (ma ve n'erano altri da considerare al medesimo livello: Dziga Vertov, Boris Barnet, Grigorij Kozincev e Boris Kaufman) e questo "Arsenal" esprime bene tutte le sue qualità. Nel film il regista non lesina in simboli (i soldati al fronte che muoiono con un grottesco sorriso dipinto sulla faccia a causa del gas esilarante) e metafore, come la fisarmonica che si allunga e si accartoccia a simboleggiare il deragliamento del treno, fino a dare la parola ai cavalli ("Corriamo, con tutte le nostre ventiquattro zampe...") e fino a fare del suo contadino ormai operaio un eroe fortissimo, ma umano: quando i soldati col colbacco bianco gli sparano e lui non cade gli domandano se indossi una corazza, e lui per tutta risposta si apre i vestiti sul petto e dice loro "Sparate!". E quelli sparano.
Il film inizia mostrando scene atroci di un campo di battaglia, di un villaggio miserabile di vecchi, dello zar pasciuto, dei reduci provati dalle sofferenze; continua con il ritorno a casa di un contadino ucraino (Svašenko), reduce dalla guerra, su un treno che i cosacchi hanno voluto far viaggiare per forza, nonostante che il macchinista avesse riscontrato un guasto ai freni. Il treno deraglia. Il contadino trova un posto di lavoro all'arsenale di Kiev; l'ansia dei borghesi e le provocazioni dei nazionalisti creano un'atmosfera tesa e, quando gli operai dell'arsenale dichiarano lo sciopero, scoppiano incidenti nelle strade; gli scioperanti, assediati, attendono invano gli aiuti dei rivoluzionari; vengono massacrati brutalmente dalla milizia. Il contadino si offre a petto nudo alle fucilate dei nazionalisti bianchi.
Nel 1929 Dovzenko realizza ancora un film muto, nonostante che da un paio d'anni in America fosse stato introdotto il sonoro. Il commento musicale di Igor' Belza è comunque molto appropriato ed è fondamentale l'apporto delle didascalie, che il regista considerava parte inscindibile del film.
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