Regia di Aleksandr P. Dovzenko vedi scheda film
La miseria è una camminata faticosa attraverso la desolazione. Il dolore è un peso che schiaccia al suolo, inchiodando l'azione. Ma la sofferenza esplode in rabbia, che è come energia sprigionata da un corpo nell'atto di spezzare le catene che lo avvinghiano. Il film si apre con il ritratto di un'umanità attonita ed impotente di fronte all'orrore. Fin dall'inizio, la sua immobilità statuaria è l'immagine marmorea di una dignità ferita ma non piegata, destinata ad essere esaltata nella scena finale. La regia di Dovzenko è di una pregnante sobrietà, in cui l'essenzialità sottolinea la crudezza, e il vuoto rappresenta l'insensatezza. L'assenza dell'orizzonte indica il disorientamento, in cui il silenzio dettato dal terrore viene infranto soltanto da un movimento generato dallo sforzo. Nella prima parte, ogni tentativo di avanzare si risolve in una marcia senza meta, che può portare solo alla morte: una marcia lenta come lo sfiancante percorso dell'aratro trainato dal contadino, o vertiginosa, come la folle corsa del treno senza freni giù per la collina. Il motore di questa vana impresa è una banale lotta per la sopravvivenza. Intanto, nei momenti di quiete, lo sguardo fisso indica una graduale presa di coscienza; e l'attesa è il fermento che cova in sottofondo, preparando la svolta della seconda parte. In essa il viaggio si trasforma nell'impetuoso progredire della rivoluzione: un'ondata che percorre la storia, attraversando e riempiendo, in obliquo, il campo visivo. È un impulso contagioso che, in diverse forme, si trasmette a tutto un popolo: dall'arrancare dei contadini, allo sfrecciare del treno, alla marcia degli scioperanti, fino alla cavalcata attraverso la steppa. Tutti si mettono in cammino, magari zoppicando: ognuno, secondo le proprie possibilità, partecipa all'inarrestabile rinnovamento che investe una intera nazione, e tutte le componenti della società.
In questo film Dovzenko si rivela un maestro della visione indiretta alla Ejzenstejn, alla quale concorrono vari accorgimenti cinematografici. Se le ombre e le sagome in controluce accentuano la drammaticità di alcune scene, in altre è il movimento degli oggetti a condensare la violenza degli eventi: un campanello agitato all'impazzata ben raffigura l'incontenibile concitazione dei partecipanti a un'assemblea, ed una fisarmonica che vola sopra un tetto riassume, fin troppo efficacemente, il devastante effetto di un treno che si schianta in fondo a una discesa.
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