Regia di Leyla Bouzid vedi scheda film
Forse ancora distribuito in qualche sala, questo film uscito da Cannes lo scorso anno, ha ottenuto un buon successo di critica e successivamente più di una nomination. Meriterebbe una visione attenta, perché affronta temi complessi, più di quanto il titolo lasci intendere.
La storia di Ahmed (Sami Outalbali), giovane immigrato algerino di seconda generazione.
Egli abitava con la sua famiglia in una banlieu parigina, nella quale aveva amici: ragazzi musulmani come lui, che solo all’Università avrebbe imparato a conoscere l’importanza dell'eredità islamica nell’Europa cristiana.
Inserito fra i compagni della banlieu, Ahmed parlava, leggeva e scriveva in francese, ma non sapeva né leggere né comprendere la lingua araba; si auto-confinava nell’angusto spazio fisico della periferia, ciò che non gli permetteva, ahimè, di vedere oltre, ovvero di confrontarsi con altre realtà, allargando anche i propri orizzonti mentali.
Nella sua famiglia tutti parlavano in francese per facilitare l’inserimento dei figli nel paese che li aveva fatti diventare cittadini francesi quando avevano dovuto abbandonare l’Algeria con il padre, già noto giornalista della Tv, che – dopo il colpo di stato militare (1992) del Fronte Islamico di Salvezza – stava rischiando la pelle.
Quel padre triste e frustrato, nell’esilio dorato di Parigi era diventato un “disoccupato in più” senza status e senza identità: ora viveva nella speranza che i figli si sarebbero presto integrati nella società che li aveva aiutati a fuggire e generosamente accolti.
Ahmed aveva incontrato Farah - giovane tunisina, dalla folta capigliatura riccioluta - sul Metro. entrambi diretti alla Sorbonne: un amore a prima vista!
Si era iscritto, come lei, al corso di letteratura comparata, dove avrebbe conosciuto gli antichi scrittori e i poeti d’amore arabi, grazie ai cui sensualissimi componimenti, forse, avrebbe compreso meglio il ruolo attivo della donna nella passione amorosa…
La storia di Farah (Zbeida Belhajamor) giovane tunisina di ricca e colta famiglia
Farah era orgogliosa delle proprie origini e della propria terra, unico fra i paesi magrebini nel quale, dopo l'esperienza fallita delle Primavere Arabe, continuavano a essere rispettati i dritti delle donne, che potevano andare in giro senza dover velare i capelli, o mortificare la propria bellezza o vergognarsi del proprio desiderio d’amore.
Nella capitale francese, che avrebbe voluto conoscere meglio, affidandosi a un parigino di vecchia data come Ahmed (!), la disinibita Farah usciva anche di sera e sapeva affrontare con disinvoltura le più diverse situazioni.
La giovane aveva notato il bel corpo muscoloso di Ahmed e non gli aveva nascosto di esserne attratta, ma lui, benché a sua volta attratto dal corpo di lei, era combattuto fra la passione e l’aspirazione a sublimarla secondo gli insegnamenti degli antichi poeti mediorientali: idiosincrasie e chiusure mentali che avrebbero reso molto difficili i loro rapporti…
A differenza di Ahmed, Farah – che parlava benissimo il francese – conosceva l’arabo, lo leggeva e lo scriveva; per lei, la poesia rispecchiava la naturale sensualità degli amanti sotto ’l velame de li versi strani, oltre le immagini che, metaforicamente, gli antichi poeti d’amore diffusero, raggiungendo le corti medioevali dell’Europa mediterranea e non solo.
La storia dei due innamorati si fa sempre più difficile, ma io mi limiterò, con l’aiuto di qualche informazione desunta da Mymovies e da COMINGSOON a segnalare che Leyla Bouzid, la regista (al suo secondo lungometraggio), francese per elezione, era nata a Tunisi nel 1984; lì’ si era diplomata, per laurearsi in Francia dapprima alla Sorbonne, poi – dopo i corsi da regista – alla FEMIS.
Nel 2015 aveva firmato il primo lungometraggio e nel 2021 aveva messo in scena, per lo schermo questa storia di finzione, ma non irreale, rappresentando emblematicamente le incertezze e le paure di molti ragazzi immigrati della seconda generazione.
Leyla Bouzid aveva ricercato con cura i due protagonisti (entrambi bravissimi e con naturalezza calati nei rispettivi ruoli), scovando Farah, ovvero Zbeida Belhajamor alla sua prima prova d’attrice, a Tunisi e assegnando la parte di Ahmed a Sami Outalbal attore di una miniserie televisiva, dopo averne valutato la versatilità dimostrata nelle prove, in cui alla prestanza fisica egli aveva unito credibilmente la timidezza imbarazzata del suo personaggio insicuro.
Ricchissimo di musica – complemento perfetto della vicenda e dei suoi diversi momenti – il film mette insieme pezzi da concerto dal vero, suonatori jazzisti lungo la Senna, danze e composizioni di altra origine, presentando infine una colonna sonora originale.
Un film, insomma, fra i più interessanti tra quelli visti nel 2022,nonostante qualche lungaggine ripetitiva, poiché non è solo un racconto d’amore e di desiderio, ma una riflessione sull’essere giovani immigrati oggi, in una grande metropoli occidentale, quando si ama e si chiede alla poesia e alla cultura qualche risposta che aiuti a definire la propria identità, importante per indirizzare il futuro verso progetti e obiettivi realizzabili e corrispondenti alle proprie attese.
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