Regia di Mohamed Diab vedi scheda film
FESTIVAL DI VENEZIA 78 - ORIZZONTI
La diciassettenne palestinese Amira è consapevole di essere stata concepita con la fecondazione artificiale, tramite il seme del padre, già all'epoca recluso in prigione, e trafugato da una organizzazione che si adopera per permettere che i detenuti possano comunque concepire dei figli.
Ed il padre, incontrato sempre ed esclusivamente durante gli incontri in carcere, è divenuto col tempo il vero eroe per la figlia, che lo venera e rispetta quasi fosse un idolo.
Quando costui decide di riprovare ad avere un figlio da una moglie ancora in grado di concepire prole, ma si accorge di essere sterile, ecco che alla figlia Amira, venuta a conoscenza del particolare, crolla dinanzi un mito, inducendo la giovane poco per volta a mettersi alla ricerca del vero genitore, e per questo mettendo a repentaglio la sua stessa incolumità, oltre che ad incrinare quell'equilibrio familiare reso già fragile dalla situazione detentiva di lungo periodo dell'uomo.
Il nuovo film del bravo regista egiziano Mohamed Diab, conosciuto al Certain Regard di Venezia 2016 con l'adrenalinico Clash, indaga su una prassi di concepimento artificiale assai in uso tra i detenuti palestinesi, e nello stesso tempo sonda un malessere derivante dalle divisioni culturali e razziali che dividono la popolazione locale, da sempre legata a tradizioni e culture, se non religione, che li differenziano ed oppongono.
Amira pertanto, al di là della drammatica e sofferta storia personale della giovane protagonista, raccontata con forte veemenza e passione tanto da risultare trascinante e sin attanagliante, si concentra a esaminare le origini dell'odio che si crea tra le diverse fazioni e culture, ponendosi il problema se questo sentimento possa nascere come derivazione di un contesto geo-politico fertile e ricettivo, o se al contrario possa manifestarsi come un sentimento spontaneo insito nell'essere umano.
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