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Trama

Amira, una diciassettenne palestinese, è stata concepita in maniera fortuita, grazie allo sperma trafugato del padre Nawar, rinchiuso in prigione. Sebbene sin dalla nascita la loro relazione si è limitata alle visite in carcere, Nawar è l'eroe della figlia, costretta a compensare la sua assenza con l'amore e l'affetto di chi la circonda. Quando un altro tentativo di avere un figlio fallisce e porta alla luce l'infertilità di Nawar, l'intera esistenza di Amira viene rimessa in discussione. Contro il parere della sua stessa famiglia, la giovane si metterà sulle tracce del padre biologico cercando di salvare ciò che resta della sua identità mentre il suo mondo cade a pezzi.

Curiosità

INTERVISTA AL REGISTA

Da dove nasce l'idea per il film?

Direttamente dall'attualità. Ho scoperto dai quotidiani che le coppie palestinesi potevano concepire dei bambini anche se il marito era prigioniero in Israele. Una fitta rete di "contrabbandieri" consentiva l'uscita dello sperma dalle carceri. La storia mi è rimasta in testa, ne immaginavo gli sviluppi e i colpi di scena che potevano susseguirsi... Vi ho trovato elementi essenziali che esulavano dal solo conflitto israelo-palestinese estendendosi a tutte le guerre nel mondo e sollevando domande quasi filosofiche: cosa succede nella testa del giovane o della giovane che scopre com'è stata concepita? Quali pensieri nascono in lei? Come si relazionano con le sue convinzioni?

Com'è stato scrivere la sceneggiatura?

Scrivo in famiglia, con mia sorella, mio fratello e mia moglie, che è anche produttrice. Le idee nascono dal confronto tra noi quattro. Per Amira siamo partiti dall'immaginare che Nawar non fosse il padre della ragazza. Sua moglie è considerata la moglie di un eroe, al pari della figlia. Ma cosa accade se l'eroe non è il vero padre della ragazza? Che succede a moglie e figlia? Potrebbe essere un dramma shakesperiano ma la storia ha luogo nella moderna Palestina, in una città adornata dai ritratti dei combattenti per la libertà, eroi per i palestinesi ma terroristi per gli israeliani. Onorare i combattenti è qualcosa che sta a cuore ai palestinesi: i bambini concepiti con il contrabbando di sperma, circa un centinaio oggi - sono un simbolo della lotta contro l'oppressione, un simbolo dello spirito palestinese. Un modo per dire che i combattenti non si arrenderanno mai. Anche se venissero uccisi, i loro figli prenderebbero il loro posto e le lotte non finirebbero mai.

È stata questa la ragione per cui ha scelto di fare di Amira l'eroina del film?

È attraverso il suo punto di vista che la storia assume significato. È di Amira che ci si preoccupa ancor prima di nascere perché è un simbolo. Il suo percorso è stato già tracciato, così come sono state decise quali saranno le sue convinzioni da grande. Ciò implica che, una volta scoperta la verità, Amira debba tornare indietro e ridefinire se stessa. Si tratta di qualcosa che riguarda tutti noi: tutti pensiamo di essere liberi e probabilmente in una certa misura lo siamo ma il 70% o l'80% della nostra identità è stata già decisa per noi da altri. E trovare il coraggio per intraprendere il percorso che vogliamo richiede tempo, energia e coraggio.

La storia di Amira si è composta a poco a poco, come un puzzle. La sfida maggiore era sapere esattamente quando inserire nuove informazioni. La suspense doveva essere misurata e per tale ragione siamo andati incontro a diversi passaggi di riscrittura: a volte dicevamo le cose troppo, troppo presto.

Dove ha luogo esattamente la storia di Amira?

In qualsiasi città della Palestina. Non credo sia utile indicarne una precisa. Sono egiziano: ho il vantaggio di vedere tutto quanto con i miei occhi di straniero, con uno sguardo inedito e disinteressato su uno dei più grandi conflitti del nostro tempo, da ottant'anni in corso. Ho fatto molte ricerche, ho incontrato molti palestinesi e ho letto tutto quello che ho trovato sull'argomento. Facciamo film anche per avvicinarci a culture che non sono le nostre, per vedere il mondo in maniera diversa.

Trailer

Commenti (1) vedi tutti

  • Nonostante un finale rabberciato - sarebbe stato meglio lasciare l'epilogo nell'ideterminatezza - l'opera di Mohamed Diab ben indaga sull'insensatezza della cultura dell'odio e sulla follia dell'ossessione identitaria.

    commento di darkglobe
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